Roma - Materiali di archivio e numerose testimonianze: cosi Daniel Fishman è riuscito a raccontare
"Il chilometro d'oro. Il mondo perduto degli italiani
d'Egitto". In libreria, un nuovo libro, edito da
Guerini e Associati, rivela un mondo ricco quanto sconosciuto: è
l'Egitto della prima metà del Novecento.
E' un romanzo, ma le vicende che racconta sono storia di un Paese
cosmopolita, l'Egitto, e di un Paese di emigranti, l'Italia: esce
proprio nell'anno in cui ricorrono i 50 anni dalla crisi del canale di Suez e
del conseguente disfacimento di questo ambiente.
Tra 44 comunità nazionali, 55 etnie e 21 confessioni religiose
diverse, c'erano anche gli italiani. "In quale posto si possono
trovare musulmani, copti, turchi cattolici, ciprioti, italiani, inglesi, ebrei,
francesi, marocchini, maltesi, polacchi, circassi, ortodossi, rumeni, russi,
sudanesi?" si chiede Clément Mosseri, padre del protagonista del volume. La
risposta è quel Paese nordafricano che presentava una situazione oggi utopica:
la convivenza tra razze, etnie, religioni differenti era pacifica. E il
cosiddetto Chilometro d'Oro era una striscia di terra nella capitale
egiziana, area cosmopolita in cui si concentravano gli stranieri, i ristoranti e
gli hotel di lusso, i cinema e i teatri, oltre alle attività commerciali.
Mondo Mosseri, il protagonista del libro, è un talianin, un italiano
d'Egitto, che nasce nell'anno 1900 e le cui vicende familiari raccontano pagine
di storia locale del Chilometro d'Oro. La sua vita sociale si svolge
nei luoghi degli italiani; la lingua è quella specie di lingua franca parlata in
quel luogo e in quel tempo; i sentimenti sono quelli di orgogliosa appartenenza
identitaria.
Poi tutto finisce: nel 1956, il presidente Gamal Abdel Nasser
nazionalizzò la Compagnia del Canale di Suez (di proprietà franco-britannica),
recuperando appieno l'indipendenza del paese dallo status di protettorato
britannico. Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra e Nasser volle fuori dal
Paese tutti gli stranieri, dopo aver fatto provare l'umiliazione dei campi di
internamento.
Quella comunità italiana che dovette abbandonare il paese era costituita da
imprenditori, intellettuali, tecnici, figli degli operai del canale di Suez;
c'erano Giuseppe Ungaretti, Anna Magnani, il futurista Filippo Tommaso
Marinetti e la cantante Dalida.
"Quando Daniel Fishman mi ha chiesto di scrivere la prefazione al suo
romanzo "Il Chilometro d'Oro", ho accolto di buon grado un invito che è
anche una straordinaria occasione per riscoprire il bello e il positivo di un
passato che convive armonicamente con il mio presente" ha scritto
Magdi Allam nella prefazione. Mentre la sua è una migrazione al
contrario, comunque sempre qualificata, il giornalista italo-egiziano ricorda
quelle comunità che "avevano scelto l'Egitto come un crogiolo dove fondere
le loro diversità e forgiare un modello di convivenza che non c'è più e che io
rimpiango".
Era l'Egitto dove fino agli anni Quaranta risiedevano circa 70 mila
italiani. Magdi Allam evidenzia come quella comunità non fosse
costituita da stranieri che si consideravano temporanei in Egitto, ma da
persone che volevano essere parte integrante della realtà
egiziana. "La mia esperienza personale mi ha portato a frequentare
e a convivere sin da piccino con gli italiani – ricorda -, che tra loro
si distinguevano in italiani d'Egitto, quelli residenti da generazioni, e
italiani di passaggio, presenti per motivi di lavoro temporaneo. Ma tutt'attorno
a me c'era un mondo cosmopolita che si percepiva nella diversità etnica,
religiosa, culturale e linguistica che caratterizza le metropoli. Una pluralità
che veniva percepita e valorizzata come positiva, come un modello da perseguire
e da incoraggiare".