Mal d'Egitto

Luxor, Tra tramonti e storia!

« Older   Newer »
  Share  
O t t a
view post Posted on 21/1/2014, 10:12




Luxor Film Festival, un pezzo d'Europa in pieno Egitto

21 gennaio 2014

luxor-620x350



Luxor, 600.000 abitanti e neanche un cinema. Sembra incredibile, e lo è. Ma è vero. Eppure qui, come ci indica Khaled Fangazy, una guida turistica tanto competente quanto comunicativa (potrebbe fare l'attore, le sue visite sono un recital con tanto d'improvvisazione), hanno scritto uno dei primi film della storia. O quasi, visto che quella che troviamo in una delle stanze del tempio nel centro della città, a due passi dal Nilo, è più che altro il documentario della vita del giovane figlio di uno dei tanti re e faraoni che qui hanno lasciato traccia di sé. Quattro pareti, che a vederle sembrano un insieme di fotogrammi, a metà tra il fumetto e, appunto, il cinema.
E allora una donna intelligente e caparbia come Magda Wassef ha messo su un festival di cinema europeo ed egiziano, il Luxor Film Festival, alla sua seconda edizione. Uno di quei figli non dichiarati di una rivoluzione che è stata più culturale che politica, almeno a parlare con i tassisti che sono tanto loquaci quanto poco rispettosi anche della più elementare regola del codice della strada. O con i giovani che incontri in un fast food.
Si spende poco e bene per la cultura, perché qui del passato davano fastidio "sprechi e soprusi del regime" - tutto il mondo è paese -, ma si cerca di dare qualcosa di nuovo a una città che si culla nel passato. E così il cinema diventa un bel corto circuito tra Karnak, il tempio più grande, e la voglia di modernità di una città strana, indecifrabile. Forse la più tollerante di tutto l'Egitto, se è vero che chiese e moschee spesso sono vicine di casa - e se sei italiano alcuni cristiani ti mostrano fieri un tatuaggio a forma di croce sulla mano -, di sicuro disorientante. Le 360 barche sul Nilo, pronte a portare flotte di turisti ovunque, cozzano contro quei carri trainati da asini che fermano macchine isteriche, gli alberghi a cinque stelle li trovi a poche centinaia di metri da una strada polverosa dove poverissime costruzioni in muratura ospitano una veglia funebre. L'Egitto, di quel Medio Oriente così turbolento, è sempre stato il paese più colto e inquieto, vittima di estremismi ma anche di grandi slanci democratici. Ecco perché una rassegna cinematografica così "difficile" - non ci sono nomi di richiamo o blockbuster, solo lungometraggi e cortometraggi di qualità - qui si trova a suo agio. Anche se gli spettatori locali a vedere il grande schermo non sono così abituati.
I primi meritati applausi, dopo la suggestiva serata d'inaugurazione tra le colonne del tempio di Karnak, li ha presi The Almost Man. Dalla fredda Norvegia Martin Lund ha deciso di sfidare uno degli stereotipi narrativi più frequenti nella Settima Arte, soprattutto negli ultimi anni: la sindrome di Peter Pan. Detta anche "del fannullone" o "del bamboccione" in Italia. Henrik (Henrik Rafaelsen) è un 35enne che si fa viziare dalla madre, che fa il ventenne impenitente tra sbronze, vandalismi e tradimenti, e che riesce a fare idiozie, va detto, con l'infallibilità che si riconosce, di solito, a un superpotere. Ma la sua bella e spregiudicata fidanzata, Tone (Janne Heltberg Haarseeth), rimane incinta e lo costringe a crescere. Forse, perché anche lei, come l'uomo con cui incredibilmente sta, ha in sé una forza centrifuga niente male, che maschera con una disinvoltura "scoperta" e la tolleranza per questo "quasi uomo" del titolo che la linea d'ombra tra un'adolescenza fuori tempo massimo e una maturità obbligata, non la vive con il fascino e lo sguardo malinconico e malizioso di Hugh Grant, ma con la difficoltà di ognuno di noi. Anzi, forse qualcuna in più: perché è corroso da un complesso d'inferiorità che maschera con quel suo gruppo di teppisti e con una virile asocialità. E Lund, con abilità e ironia, riesce nel miracolo di non farci diventare simpatico a tutti i costi lui, ma di farci amare lei, che non di rado si rivolge direttamente allo spettatore. Quella presunta carnefice, dai lineamenti delicati e allo stesso tempo decisi, sa interpretare benissimo una di quelle donne moderne capaci di mettersi sulle spalle una vita sgangherata: la propria, una che sta arrivando e quella di un compagno che sarebbe meglio perdere che trovare. Ma la regia essenziale, sia pur a tratti balbettante, ha alcune belle intuizioni e ci dice anche che il disagio volontario di Henrik è la fotografia di una società che ai giovani dà poco persino nel Nord Europa, non tanto, in quel caso, come qualità della vità, quanto come stimoli. La precarietà economica, qui diventa soprattutto psicologica. Certo, è vero che il regista si trova tra le mani Janne Heltberg Haarseth, una di quelle attrici capaci di cambiare verso a un film, dal momento che il suo fascino e la sua forza rovesciano gli stereotipi del genere, facendoci parteggiare, come raramente ci accade, per l'elemento più responsabile della coppia. Ma nel complesso, pur con qualche inciampo in una sceneggiatura non sempre fluida, il cinema norvegese si conferma interessante e vivo, capace di covare sotto un'apparente freddezza temi caldi, in tutti i sensi. E non a caso tra festival prestigiosi e uscite in Europa, The Almost Man è finito anche negli Stati Uniti.

Bentertainment
 
Top
O t t a
view post Posted on 24/1/2014, 09:30




Aggiornamento


Magda Wassef: "A Luxor aspetto il cinema italiano, da Sorrentino a Tornatore"


23 gennaio 2014

Magda-Wassef.jpg-620x350

Magda Wassef



Di Boris Sollazzo

La parola alla direttrice del Luxor Film Festival, Magda Wassef, una donna minuta solo nell'aspetto fisico. Da due anni è lei che ha letteralmente riportato il cinema a Luxor, perché tra la Valle dei Re e il tempio di Karnak, non c'era neanche una sala dedicata alla Settima Arte. Dopo trent'anni in Europa è tornata in patria per una "mission impossible", che le sta riuscendo. Creare un ponte tra il Vecchio Continente e la terra delle Piramidi che vada oltre a quella che l'egittologo Khaled Fangazy definisce "l'ossessione dei vostri telegiornali solo per i fatti di sangue che succedono qua. Raccontate anche questo, piuttosto, siamo un grande paese".

Perché questo questo festival e perché proprio Luxor?


Abbiamo pensato a Luxor perché è un luogo mitico, tutto il mondo la conosce, ma allo stesso tempo una città che, ho scoperto con enorme sorpresa, essere priva di cinema. Più di mezzo milione di persone senza una sala in cui poter vedere i film: quelle poche che ci sono state in passato sono state chiuse. Qui si è fatta la storia dell'umanità ma c'è anche un deserto culturale troppo esteso. Abbiamo pensato - anche in base alla mia esperienza trentennale a Parigi nel cinema e non solo - di creare un ponte tra Egitto ed Europa per far fiorire una nuova vivacità intellettuale.

Quanto è difficile organizzare qualcosa del genere nell'Egitto di oggi?

Non dobbiamo essere banali nell'analisi. Il regime passato aveva gravissime colpe, ma anche delle cose buone. Ora, da tre anni, c'è un'instabilità politica costante, il paese vive una rivoluzione permanente che lo tiene in ginocchio, soprattutto sul piano economico, e sì, vivere da due anni quest'avventura in una situazione tale non è facile. Sul piano dei finanziamenti egiziani, in particolare quelli istituzionali, su quello tecnico, su quello della formazione e dell'esperienza del personale, indietro anche rispetto all'evoluzione tecncologica. Nel cinema stiamo passando a una nuova epoca, ma qui non riusciamo a uscire da questa impasse, addirittura siamo costretti a usare le sale municipali e adattarle per la visione di cortometraggi e lunghi. Dobbiamo crescere per Luxor, per i suoi abitanti e per tutto il paese.

I due governi arrivati dopo Mubarak hanno cercato di fare pressioni politiche?

Non viviamo alcun tipo di pressione politica, né, francamente, ne accetteremmo neanche di lievi. Posso permettermi di dirlo anche per la forza della nostra fondazione che raduna molti intellettuali e ha fatto della libertà di espressione la prima base, irrinunciabile, di questo festival. Ci aiuta anche l'investimento privato, come quello della fondazione Sawiris e di molti altri, che hanno un alto profilo e non pretende cotillons ma contenuti.

Nessuna seduzione per lo star system o i tappeti rossi? Sarebbe più facile, così, attirare pubblico e stampa


Questo è un festival di cinema, non di star e tappeti rossi. Che poi cosa vuol dire star? Le nostre sono i registi, gli attori che hanno dato vita a film così belli, in una selezione che molti riconoscono di alto livello, sia nel lato europeo che in quello egiziano. Abbiamo puntato sul cinema giovane e indipendente, ci sono tanti under 40 e ben quattro registe donne, e non è un caso. Le vere rivoluzioni passano per chi porta qualcosa di nuovo, per chi finora ha avuto meno accesso al mezzo cinematografico. Ecco perché abbiamo approntato un programma a parte per la Casa della Gioventù, con visite ai monumenti la mattina e una fitta sequenza di proiezioni dopo le 15 solo per quei ragazzi di Luxor che, se non avessero il cinema, cosa farebbero? Resterebbero nei bar o andrebbero nella moschea. Con ovvie conseguenze.
Ecco perché ci sono tanti ragazzi anche nella squadra del festival, a partire da chi conduce le interviste dopo le proiezioni. Se si crede nel ricambio generazionale, bisogna essere coerenti, non solo cavalcarlo a parole.

Ma non rischia di diventare un po' snob e troppo poco popolare questo atteggiamento?


No, perché non lo siamo. Abbiamo Nour El Sherif, uno dei più grandi divi del cinema egiziano, uno che ha fatto la storia da queste parti. Di sicuro non siamo di quelli che vogliono alimentare sprechi: una star italiana l'avevamo invitata, ma ha preteso tali privilegi ed extra che abbiamo rinunciato. Ovviamente non ti dirò il nome, ma ti confesso che volevamo dedicare un omaggio come quello fatto quest'anno al cinema tedesco - non quello di Fassbinder, Wenders o Herzog, che tutti conoscono, ma quello moderno, da Lola Corre a Le vite degli altri -, anche a quello italiano. Paolo Sorrentino e La grande bellezza per gli Oscar hanno declinato l'invito, Marco Bellocchio ci ha provato fino all'ultimo, mi sarebbe piaciuto avere in giuria Nanni Moretti e Laura Morante, ho provato a invitare anche Tornatore e Scola, ho amato molto Miele di Valeria Golino ma non siamo riusciti a organizzarci con lei. Avevano altre priorità, forse siamo ancora troppo piccoli e non abbastanza conosciuti per loro, ma non demordo. Credo che Italia ed Egitto abbiano molto da dirsi e farebbero bene a entrambi incontrarsi (qui sentono molto il rapporto tra i due paesi, non sono pochi i monumenti e gli scavi archeologici che hanno un contributo italiano: e rimangono sconvolti se gli racconti che stiamo facendo morire Pompei -ndr). Non vogliamo star, ma chi fa grande cinema. Al di là dei problemi organizzativi di una rassegna che ha solo due anni, la cosa più bella l'ho sentita dalla giuria. Una frase breve ma inequivocabile "abbiamo visto diversi film davvero eccellenti".

Lei, confessi, però non fa tutto ciò solo per un paese migliore, ma anche per sé

Sì, sono nata in Egitto e ci ho passato tutta la gioventù, poi sono andata in Francia e alla fine del mio lavoro all'istituto culturale in cui ero dovevo scegliere cosa fare. E ho voluto tornare qui: lo ammetto, questo festival per me è anche un affare di cuore.

Cosa sogna per il futuro?

Delle sale cinematografiche. Che il nostro lavoro spinga Luxor a costruire dei cinema. Sarebbe importante per la città, prima ancora che per noi. Soffro quando sento che chiudono negli altri paesi, anche in Italia so che diminuiscono. Qui dovremmo dare un segnale in controtendenza. Questo luogo, questo paese hanno bisogno di arte.

Blogo
 
Top
46 replies since 5/9/2005, 23:53   3209 views
  Share