| Dopo millenni sono state trovate le tracce dei bacini auriferi dell'Antico Egitto.
Proprio qui, nel deserto orientale al confine tra l'Egitto ed il Sudan, i più famosi faraoni ricavavano l'oro ed gli altri preziosi minerali per i loro gioielli, per le loro regge e per i magnifici monili per i corredi funebri. L’esplorazione del deserto orientale al confine tra l’Egitto e il Sudan ha portato gli archeologi e i geologi alla scoperta di parecchie miniere aurifere, molte delle quali oramai esaurite: dopo millenni si è ritrovata traccia dei bacini auriferi dell’antico Egitto; era qui che i più famosi faraoni ricavavano l’oro ed altri minerali preziosi per i loro gioielli, per assicurare sfarzo alle loro regge, per i lussuosi monili dei loro corredi funebri. L’intero progetto di identificazione delle montagne con i filoni doro è affidato alla sinergia tra il Consiglio Supremo delle Antichità del Cairo, diretto da Zahi Hawass, e la Compagnia mineraria Centamin, diretta dal geologo Joseph al-Raghy; alla realizzazione dei lavori, dislocati in più punti (dallo Wadi Allaqi, allo Wadi Abbad, allo Wadi Hammamat, fino alla zona costiera ricca di vestigia e di piste carovaniere), partecipano anche studiosi italiani. Ad iniziare da Costanza De Simone, egittologa dell’Unesco, che perlustra con l’équipe francese di François Paris i dirupi scoscesi dello Wadi Allaqi: nelle campagne portate a termine gli archeologi europei hanno ritrovato zone aurifere non più attive e i resti di una necropoli di cercatori dell’epoca di Ramses II (attorno al 1250 a. C.): “è stato emozionante – racconta De Simone -: l’operaio, che scavava la tomba era convinto che si trattasse di una sepoltura vuota e ormai disperava di trovare il corpo del defunto. Allora mi sono messa a scavare di persona, agevolata dal fatto di essere piccola, e in una fossa di 50 cm di lato ho trovato il cadavere e i resti del corredo funebre; vasellame, anelli e gioielli di varia fattura”. Sono proprio i gioielli che i faraoni egizi facevano fabbricare in oro e pietre preziose. Un team diretto da due ricercatori italiani, Giancarlo Negro e Vincenzo De Michele, ha identificato i resti di vetro siliceo, il famoso Silica Glass che colpì persino Tutankhamon per la sua lucentezza: “Ora possiamo dirlo con certezza – rivela De Michele – il faraone bambino fece incastonare nel pettorale, che rivestì la sua mummia, una grossa gemma di Silica Glass”. Sono sempre italiani, i fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni, gli studiosi che in riva al Mar Rosso, quasi in Sudan, hanno trovato i resti di Berenice Pancrisia, la mitica città dei cercatori minerari, fiorente in epoca greca e romana (IV sec. a. C. – IV sec. d. C.). E sono proprio i due archeologi ad organizzare, sotto l’egida dei Supremi Consigli Archeologici egiziano e sudanese, spedizioni al limite dell’avventura lungo le piste quarzifere dei faraoni egizi e dei faraoni neri kushiti (oggi i resti delle loro città si trovano nella Nubia sudanese), che abbellirono le loro dimore con il metallo prezioso. In questa missione esplorativa i due archeologi italiani hanno scoperto e ripercorso una vecchia strada abbandonata attraverso la quale oro, ebano, avorio, elefanti, e altre merci preziose arrivavano fino alle grandi città dell'antico Egitto, evitando le cateratte del Nilo Lungo questo tragitto nel deserto sono stati trovati anche gli strumenti, usati per l'estrazione dell'oro, come gli scivoli su cui far scorrere e separare il materiale frantumato in precedenza, a testimoniare il progredito grado di tecnologia mineraria; accanto alle vene di minerale, ora esaurite, sono poi venuti alla luce attrezzi di varia fattura, usati per saggiare la quantità d'oro presente nella vena stessa: “Anche perché l'estrazione vera e propria si faceva sul Nilo, dove di acqua ce n'era in abbondanza”. In epoca tarda (dal 500 a. C. in avanti) le imprese dei cercatori erano rischiose ed estreme: la desertificazione avanzò a tal punto che la metà degli uomini e degli animali che attraversavano il deserto per portare l'oro morivano di sete. Oggi le tracce di quell'epoca sono sepolte nella sabbia e le evidenze del loro passaggio (resti di bivacchi, sepolture, e graffiti in geroglifico incisi da chi fosse in grado di scrivere) sono oggetto di ricerca da parte degli archeologi.
tratto da ilsole24.com
Edited by Cleopatra79 - 13/10/2006, 14:32
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