Cineforum Hollywood

Consigli di lettura, Libri che avete letto e che consigliate!

« Older   Newer »
  Share  
Indygirl
view post Posted on 8/11/2004, 13:26




LA CASA DELLE SETTE DONNE
Brasile, 1835. La giovane nazione è spaccata in due da una sanguinosa guerra civile (la cosiddetta Guerra degli Stracci o rivoluzione Stracciona) che contrappone i grandi latifondisti della piccolaRepubblica di Rio Grande do Sul all’Impero. Le complesse ragioni di questa rivolta si trovano nei libri di storia, ma ciò che manca in quei testi è la materia di questo romanzo: la nefasta influenza della guerra e della violenza che l’accompagna sul destino di uomini e donne.
Prima di partire alla testa delle sue truppe Bento Gonçalves da Silva, il leader dei rivoluzionari, ordina alle donne di famiglia di trasferirsi in una delle sue tante fazendas, la Tenuta della Diga, un luogo protetto, di difficile accesso. È laggiù che sette donne e i quattro figli più piccoli di Bento aspetteranno che la rivoluzione abbia termine.
Ma la guerra che speravano di breve durata non finisce mai. E la vita di quelle sette donne – madri, figlie, zie, nipoti confinate nella grande casa di famiglia – si trasforma… Le lettere degli uomini al fronte tardano ad arrivare, lente come il succedersi delle stagioni, non bastano a infrangere la loro solitudine. E la solitudine soffoca. La solitudine fa impazzire. Le donne si ammalano di solitudine. Le donne pregano. Le donne aspettano.
È il loro destino, aspettare, sempre: nove mesi, una vita intera. Il tempo scorre implacabile; le mogli rischiano di invecchiare senza poter riabbracciare i mariti e i figli, le giovani temono, prigioniere in quell’angolo sperduto di mondo, di non conoscere l’amore, perché i loro cuori inaridiranno…
Ma nella fazenda un giorno arriva, caldo come il vento e fugace come una meteora, uno dei tanti avventurieri e cospiratori di passaggio: Giuseppe Garibaldi. Un Garibaldi giovane, entusiasta, appassionato, a un passo dall’incontro fatale con Anita, che insegue ogni causa perorata in nome della libertà e che in nome della libertà è pronto a sacrificare l’amore acerbo di Manuela – nipote di Gonçalves – e a lasciarsi alle spalle un fidanzamento incompiuto, e proprio per questo eterno. Perché Manuela per tutta la vita resterà fedele a questo amore verginale, e per tutti sarà sempre “la fidanzata di Garibaldi”.
Per raccontare questa storia travolgente l’autrice travalica ogni frontiera: storia e finzione, realtà e fantasia, magia e realismo si fondono nella quotidianità delle sette donne, sempre più violenta, opprimente, immutabile. La scrittura fluida, seducente – che dipinge un affresco di sentimenti su uno sfondo storico perfettamente ricostruito – e i personaggi magistralmente descritti fanno de La casa delle sette Donne un grande romanzo, un piacere da leggere fino all’ultima pagina.
Da questo romanzo è tratta la serie tv Garibaldi, eroe dei due mondi,in onda su rete 4.

Edited by Indygirl - 8/11/2004, 13:27

Attached Image: 4541192g.jpg

4541192g.jpg

 
Top
Indygirl
view post Posted on 8/11/2004, 13:39




I GIORNI DEL Té E DELLE ROSE di Jennifer Donnelly

1888. Quartiere di Whitechapel, Londra. Una città nella città. Un luogo di luci e ombre dove ladri, puttane e sognatori intrecciano le loro misere esistenze, dove di giorno i bambini giocano nelle stesse strade in cui di notte si aggira in cerca di prede uno spietato assassino, Jack lo Squartatore. Strade in cui il bagliore della speranza si scontra con la cruda realtà. Qui, lungo le acque mormoranti del Tamigi, una giovane bella e indomita osa fantasticare una vita al di là delle luride banchine, dei vicoli debolmente illuminati dai lampioni a gas, delle diroccate abitazioni della povera gente che muore di fame. Fiona Finnegan, operaia alla Burton Tea Company, la maggiore società di importazione e lavorazione del tè, spera un giorno di comprare un negozio assieme a Joe, il suo amore di sempre. Ricchi soltanto della fede incrollabile l'uno nell'altra e del sentimento che li lega, lottano e si sacrificano per realizzare i loro sogni. Ma quelli di Fiona si infrangono bruscamente quando un personaggio brutale e minaccioso le porta via quasi tutto ciò - e tutti coloro - che ama. Temendo per la propria vita fugge in America, a New York, una città dove nessuno la conosce, in cui tutti hanno la possibilità di far fortuna. E dove la sua forza di volontà - e i fantasmi del passato - favoriranno la sua inarrestabile ascesa verso il successo. Gli antichi fantasmi di Fiona tuttavia non riposano tranquilli e per metterli a tacere lei dovrà tornare ad avventurarsi nella Londra della sua infanzia, in cui un confronto con il proprio passato potrebbe trasformarsi nella chiave per il suo futuro. "I giorni del tè e delle rose" è un imponente romanzo 'all'antica', permeato però di sensibilità moderna, che parla di disgregazione familiare, di violenza e di vendetta, di amore perduto e ritrovato, seguendo il cammino di una donna decisa a sopravvivere e a trionfare. Autentico e commovente, è stato paragonato dalla critica americana alle opere di autrici del calibro di Barbara Taylor Bradford e Rosamunde Pilcher.

Edited by Indygirl - 8/11/2004, 13:40

Attached Image: tornaImmagine.jpg

tornaImmagine.jpg

 
Top
Indygirl
view post Posted on 8/11/2004, 15:29




IL CANTO DEL CIELO di Sebastian Faulks

L'amore, la guerra, la memoria. Questi i temi che percorrono il grande affresco narrativo di Faulks.
L'amore: è ad Amiens, nel 1910, che Stephen Wraysford, ventenne inglese orfano e solo, incontra Isabelle, una donna irreprensibile, rassegnata a tollerare con eleganza un matrimonio infelice. Uniti da una passione assoluta, Stephen ed Isabelle bruceranno presto il loro legame per poi riapprodare entrambi alla vita di tutti i giorni. Ma un amore così non si può cancellare; il suo ricordo segnerà le loro esistenze ancora per molti anni.
La guerra: in Francia, tra il 1917 ed il 1918, è in atto la grande carneficina del primo conflitto mondiale. Tornato per combattere, Stephen sposa Jeanne, la sorella di Isabelle, e adotta la figlia di quest'ultima per esserne il padre.
La memoria: a Londra, nel 1978, la nipote di Stephen decide di ricostruire la storia della sua famiglia. Sarà nel diario del nonno che Elizabeth troverà la risposta a tante domande e la forza di dare inizio ad una nuova vita.
Il canto del cielo è un'appassionante storia di desiderio, d'abbandono e di speranza, orchestrata con il respiro delle grandi narrazioni tradizionali e tutta la sapienza del romanzo contemporaneo; le sue pagine sanno ricreare il dramma di un'intera epoca in un intreccio di tragedia collettiva e destini individuali.


Edited by Indygirl - 8/11/2004, 15:30

Attached Image: tornaImmagine.jpg

tornaImmagine.jpg

 
Top
Indygirl
view post Posted on 8/11/2004, 15:32




LA GUERRA DI CHARLOTTE di Sebastian Faulks

Londra, 1942. La città è immersa nell'oscuramento, ma una tenebra ancora più nera avvolge la Francia, dove il regime di Vichy si sottomette con sempre maggior servilismo all'occupante nazista, seguendolo nella sua macabra danza della morte. Dalla Scozia arriva nella capitale inglese Charlotte Gray, una giovane donna piena di vita e tenace, ma segnata da un'inquietudine profonda, che concepisce una violenta e pericolosa passione per un aviatore, Peter Gregory, il cui aereo finisce disperso in Francia. Charlotte è pronta a gettarsi nelle fauci del nemico pur di ritrovarlo. Così, spinta dall'amore, ma anche da un'autentica fede politica, entra a far parte di un'organizzazione britannica che aiuta la Resistenza in territorio francese. Con il passare del tempo, Charlotte scopre che la battaglia contro il male in cui si è impegnata per salvare la Francia è, per lei, strettamente legata alla sua guerra personale per riprendere il controllo della propria tormentata esistenza. L'angosciosa quotidianità nella cittadina di Lavaurette, sede operativa di Charlotte, è esposta a tutti i terribili drammi che colpiscono la nazione, ma è anche ravvivata dalla presenza di personaggi memorabili, come il capo della resistenza locale Julien Levade e suo padre, un pittore Bohème con un passato da libertino. Mentre gli uomini, le donne e i bambini di Francia si preparano ad affrontare il loro terribile destino, per Charlotte è giunto il momento di tornare in patria. La viva esperienza dell'immane tragedia storica le darà la forza e la maturità per accettare e comprendere se stessa.

Attached Image: pp.jpg

pp.jpg

 
Top
lupodaniele
view post Posted on 6/1/2005, 10:05




Io propongo la lettura di " Non si muore tutte le mattine " di Vinicio Capossela. Davvero un bel libro, molto psicologico, che parla di storie, inventate, un misto tra favole e leggende. Della " voce " come dice lui, la voce la voce, la profondità e l'effetto delle parole. Consigliato da Lupodaniele

Attached Image: 88_07_01647_8.jpg

88_07_01647_8.jpg

 
Top
penelopelamammadijacopo
view post Posted on 25/5/2005, 11:01




user posted image


Questo libro racconta tre cose: un campionato mondiale di pallastrada, la volgarità imbecille dell'Italia in cui viviamo e la geniale babele dell'epoca in cui sopravviviamo. Per raccontare quelle tre cose ne racconta altre mille. Per raccontare quelle mille fa esplodere il vocabolario, perché con la lingua di tutti i giorni non ce la farebbe. Uno legge, e immediatamente si trova spedito su un altro pianeta linguistico. Con quel po' di lucidità che gli resta, capisce - se non è prevenuto - che sta leggendo uno dei libri più importanti scritti da un italiano in questi ultimi anni.
La pallastrada è uno sport clandestino. Se uno non l'ha mai praticato, mai lo potrà capire davvero. Comunque, Benni ci prova, a spiegarlo. Citando, qua e là, tra il regolamento: "Il campo di gioco può essere di qualsiasi fondo e materiale a eccezione dell'erba morbida, deve avere almeno una parte di ghiaia, almeno un ostacolo quale un albero o un macigno, una pendenza fino al venti per cento, almeno una pozzanghera fangosa. Le porte sono delimitate da due sassi, o barattoli, o indumenti e devono misurare sei passi del portiere. La traversa è immaginaria e corrisponde all'altezza a cui il portiere riesce a sputare. La palla deve essere stata rattoppata almeno tre volte, deve essere o molto più gonfia o molto meno gonfia del normale, e possedere un adeguato numero di protuberanze che rendano il rimbalzo infido. Il passaggio di biciclette, auto, moto e camion non interrompe il gioco, fatta eccezione per le ambulanze e i carri funebri".
Come si può intuire la pallastrada è per sua intima costituzione ed essenza, sport che fa rima con miseria. Lo si gioca tra le pieghe della realtà, fisicamente e moralmente parlando. In spazi clandestini, del mondo e della mente. Non essendo previsto dall'organizzazione del reale, è per lo più praticato dagli irregolari dell'umanità. Nel libro di Benni sono tutti bambini, e spesso bambini scartati dal sistema. Ragazzini che dall'orlo della vita guardano giù e pensano se è proprio il caso di buttarsi il dentro. Di ragazzini così ce n'è a migliaia. E alle volte hanno anche settant'anni. La pallastrada è, almeno idealmente, il loro sport ufficiale. Quando a raccontarla è Benni, diventa anche il rifugio simbolico e spiritoso dell'utopia, questa vecchia sensazione andata in disuso. È la rivincita rabbiosa di quella parte dell'umanità che non appare nella lista ufficiale degli abbonati al mondo.
La più bella icona di questo tratto utopico e libertario è tramandata, nel libro di Benni, da una trovata straordinaria: la partita di "facciamo". "Facciamo" è una variante estrema della pallastrada. Vi si ricorre quando la realtà è così smisuratamente carogna che ti impedisce anche di mettere due porte in mezzo a una strada e dare calci a qualcosa di rotondo. Allora le due squadre si mettono una davanti all'altra (5 contro 5) e iniziano:
- Facciamo che il vostro campo era in salita e noi giocavamo in discesa.
- Facciamo che era finito il primo tempo zero a zero e si cambiava campo.
- Facciamo che viene il terremoto che pareggia il campo e si apre un crepaccio e voi cadete dentro e io sto per fare gol.
- Facciamo che dal fondo del crepaccio viene su un geyser di vapore che a noi ci solleva in alto e a te ti bagna tutto così non puoi più fare gol.
E così via.
Perché se la realtà è carogna, non lo sarà mai abbastanza da fermare davvero l'utopia. E se c'era modo di dirlo - che lo capissero tutti - quelle pagine lo dicono.
Come hanno già osservato in molti, la seconda cosa che questo libro racconta è l'Italia. Ognuno cerca nei libri quello che vuole. Io, francamente, non amo molto i libri che raccontano l'Italia. Nel senso che la si racconta già troppo e dappertutto. E per raccontarla - mi sto convincendo - basta effettivamente uno come Bocca: che bisogno c'è di scomodare la letteratura, la narrativa con la enne maiuscola? L'Italia non è un mistero così raffinato da non poter essere raccontato da un buon giornalista o da un'ora di televisione intelligente. Quindi dai libri - dai Libri - mi aspetto altro.
L'Italia di Benni però, l'ho amata. Perché mi piace quel che succede nel suo meccanismo di rappresentazione: lui non usa un linguaggio per raccontare la realtà. No. Lui siringa nel linguaggio le scorie della realtà e si trova in mano un linguaggio dopato, che nelle sue escandescenze urla la realtà. Esempi: Berlusconi diventa Mussolardi e vive su un policottero, la Coca Cola, totem onnipresente, diventa Stracola, i poliziotti poliziorchi, Rimini Rigolona Marina, l'Adriatico l'Adrenalio, gli Swatch Spatsch, l'Italia Gladonia, il Papa la Grande Meringa, e così via. Alle volte, per tramandare cose enormi e complicate, basta un tic linguistico da nulla. Gran parte dei personaggi sono presentati così: nome, cognome, aperta parentesi, 'Tesseraloggia 49', chiusa parentesi. La tesseraloggia suona come una specie di secondo cognome. Giulio Fimicoli (Tesseraloggia B 036): detto tutto. In questa sorta di bazar linguistico, Benni racconta poi i vari tic dell'Italia più volgare, ma quella è critica di costume che possono fare in tanti, oggigiorno, e infatti la fanno. Ma coniare una lingua che è nome di uno sfacelo, e non racconto, questa è un'acrobazia che, a questi livelli, ho visto fare solo da Benni.
E poi racconta la geniale babele del postmoderno. Cioè l'equivalenza, la convivenza, la simultaneità dei materiali più diversi nel medesimo istante di esperienza. In un'unica sensazione. Brandelli di mondo che arrivano da tutte le parti per allestire continue cartoline dell'assurdo. Quasi tutta la prosa di Benni è inventario di queste acrobazie. E il piacere - fisico più che intellettuale - che si prova a leggerla è il piacere di essere sballottati in questo universo senza confini, spediti a casaccio avanti e indietro come biglie tirate da un giocatore pazzo.
Faccio un esempio minuscolo. Rave party sulla riviera adriatica. Già la musica è tutto un programma. Primo pezzo: un mix di quattro rap con "Helter Skelter" e la "Canzone del salice" nella versione dei Mamma Mettimi Giù. Secondo brano: un rock con scariche di mitra Uzi, "Nessun dorma" e un discorso di Luther King. Biglie impazzite. Ma torniamo all'esempio minuscolo. Irrompono i poliziorchi, al rave, interrompono tutto e setacciano il locale. Risultato della perquisizione: alcune pasticche. "Potevano essere sia Extasi sia Falqui", annota Benni. L'avevo detto: è un esempio minuscolo. Ma rende l'idea. Io non so nemmeno se esiste ancora il confetto Falqui. Ma comunque è un nome che sa di ciliegia, di Carosello, di un signore che dice "basta la parola", di gabinetto. È una sensazione che viene fuori da un mondo di cento anni fa. Quanto all'Extasi, non ho mai avuto il piacere, ma comunque sa di sballo, di giovani esagerati, di anni novanta e di mondo che se ne strafatte del carosello. Sono due schegge che provengono da due universi separati: finiscono a vivere, per un attimo, per il gesto gratuito di uno scrittore, in una stessa pasticca. Uno legge, e ride. Ma la risata non è il fine di quel gesto: è la spia di qualcosa che è successo e che, propriamente, è il vero scopo di quel gesto: farci schizzare in un istante da una parte all'altra dell'universo del reale. Quel preciso "schizzare" come biglie impazzite è, io penso, l'andatura esatta per visitare il nostro tempo. Non ce n'è altre. Se uno scrittore mi prende su e riesce a mettermi sopra quella sorta di ottovolante dell'anima, io gliene sono grato.
E se rido, non è perché lui è uno scrittore comico. Se rido, è perché lui è un grande scrittore.



IMPOSSIBILE PASSARE MEGLIO IL TEMPO
 
Top
penelopelamammadijacopo
view post Posted on 25/5/2005, 11:08




Andando sui classici:

user posted image

"LE FANTASTICHE AVVENTURE MARINARESCHE
DI ARTHUR GORDON PYM"

Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 - Baltimora, 7 ottobre 1849) è uno degli scrittori più indagati in senso assoluto: in Italia credo che sia l’autore americano su cui esistano (originali o tradotte) il maggior numero di biografie e disamine critiche. Dopo che l’analisi letteraria e poliziesca, semiologica e orrorifica, scientifica ed estetica, sociologica e fantascientifica, filosofica e psicoanalitica, strutturalista e addirittura psicopatologica l’hanno sezionato in lungo e in largo, è ancora possibile dire qualcosa di nuovo? Forse sì, se si adottano strumenti critici un po’ fuori dall’ordinario, spesso sfiorati ma mai utilizzati sino in fondo.
Intanto si può dire senz’altro che questa Narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket, uscita parzialmente a puntate sul Southern Literary Messenger di Richmond, di cui Poe era direttore, nei fascicoli di gennaio e febbraio 1937, e poi in volume completo nel luglio 1838 per la casa editrice Harper, pur con i limiti dell’ occasionalità (era stata scritta su incoraggiamento dell’amico John Paulding, che inutilmente aveva cercato di far pubblicare una sua antologia di racconti, per cercare d’imporsi invece come autore di romanzi), rimane un’importante pietra miliare nella letteratura americana, in quanto "un modello di sea novel tra i primi", come ha sottolineato Gabriele Baldini (Edgar A. Poe. Studi, Morcelliana, 1947): pur suggestionato per temi e argomenti da La ballata del vecchio marinaio di S.T.Coleridge (1798) e da Il pilota di J.F.Cooper (1824), a sua volta influenzò, in alcuni casi profondamente, i maggiori autori di lingua inglese che scrissero romanzi di mare, da Melville a Stevenson a Conrad: Moby Dick (1851), L’isola del tesoro (1883), Il negro del "Narciso" (1898) e Tifone (1903) ne mantengono echi notevoli e, soprattutto il capolavoro di Melville, riferimenti precisi.
Gordon Pym è comunque anche significativo se considerato all’interno della produzione letteraria dello stesso Poe, perché vi si ritrovano molteplici riferimenti alle sue tematiche più caratteristiche, o già accennate in famossissimi racconti precedenti, o sviluppate poi in altrettanto famose storie: nell’episodio della chiusura all’interno della stiva del Grampus e nel seppellimento a causa di una frana nella caverna dell’isola di Tsalal, per esempio, c’è quel terribile senso di claustrofobia e la paura di essere sepolto vivo già presente in Berenice (1835) e che raggiungerà il culmine con Il pozzo e il pendolo (1843) e Le esequie premature (1844); i sogni inquieti e gli incubi di Pym saranno poi tipici di Silenzio (1838); l’apparizione della nave olandese carica di morti in putrefazione (ovviamente una reminiscenza della leggenda dell’Olandese Volante) si rifà a Ombra (1835); la calata negli abissi marini, il vortice che inghiotte, l’uragano travolgente sono già nel Manoscritto trovato in una bottiglia (1833) e si ripeteranno in Una discesa nel Maelstrîm (1841), ma l’orrore della caduta nel baratro è anche in uno dei suo capolavori, Il crollo della casa degli Usher (1839), dove la palude prende il posto del mare. Insomma, il romanzo diventa così una specie di summa dei principali temi poeschi.
Già tutto ciò ne segnala l’importanza, che va al di là del lato popolare ed avventuroso tipico dei romanzi marinareschi esemplificativi di un’epoca, che va dal Settecento alla prima metà del Novecento, in cui l’avventura tout court, nel suo aspetto più drammatico, esotico e misterioso, si svolgeva per mare, allorché mari ed oceani erano una distesa ancora per molti versi sconosciuta, pericolosa e fonte di terrori e meraviglie: e così nel Gordon Pym troviamo la caratteristica fuga per mare di tanti giovani adolescenti inglesi e americani, l’ammutinamento a bordo e la strage dell’equipaggio, burrasche e tempeste distruttive, la deriva sulle acque, la fame e addirittura il cannibalismo, il naufragio e la salvezza, l’esplorazione di terre ignote, popoli selvaggi e incomprensibili. Insomma, tutto quel che ci si può e deve attendere da un libro di questo genere.
Un romanzo dunque realistico? Fedele alla sua massima secondo cui "l’ingegnoso è sempre fantastico e l’autentico immaginario è sempre analitico", Poe si affida ad un classico topos della narrativa avventurosa/misteriosa/esotica, vale a dire la riproduzione di un documento (la "relazione" di Arthur Gordon Pyn di Nantucket, appunto) a sua cura, che, proprio in quanto tale, dovrebbe essere fonte di realtà e di verità, nonostante che lo stesso protagonista-narratore affermi di descrivere "avvenimenti talmente al di là della normale esperienza umana e pertanto al di là dei limiti di ciò che è umanamente possibile credere". Insomma, una narrazione vera presentata dal curatore come "opera di fantasia", ma nonostante ciò ritenuta "avventura realmente vissuta"...
Come avviene spesso in Poe, nel Gordon Pym si ritrova dunque un realismo così esasperato da sconfinare per così dire nel fantastico: si vedano, ad esempio, la logica spinta all’esaperazione e al limite del credibile per riuscire a leggere il messaggio di August nel buio della stiva, oppure il modo in cui nell’isola del selvaggi Pym e Peters riescono a scendere nello strapiombo grazie ad una corda formata da quasi un metro di fazzoletti. Il che ricorda il meccanismo iper-logico mediante il quale Dupin risolverà i suoi "misteri" pochi anni dopo facendo da maestro a Sherlock Holmes.
Un realismo che, contemporaneamente, cede pian piano all’irrealismo e quindi al fantastico puro: e così ecco che i naufraghi del Grampus incontrano un "brigantino ermafrodito" (cioè un brigantino-goletta) dallo scafo tutto nero, accompagnato da un fetore "inconcepibile, infernale, intollerabile, soffocante" causato dal suo carico di cadaveri "nel più ripugnante stato di disfacimento" che altri non è, come si è già detto, che la nave fantasma dell’Olandese Volante e a bordo del quale si riproduce prosaicamente il mito di Prometeo; poi, durante il viaggio della Jane Guy, prima un orso bianco alto quattro metri e mezzo e dal "muso da mastino", quindi la carogna di un animale misterioso: muso da gatto, orecchie da cane, coda da topo, artigli e denti scarlatti, pelame bianco. Infine, ecco l’isola sconosciuta, nei pressi del Polo Sud, ovviamente non segnata sulle carte, dove il bianco non esiste: qui è tutto nero, dagli indigeni che vestono pelli nere di un animale sconosciuto e hanno addirittura i denti neri provando un terrore indicibile di fronte a qualsiasi cosa sia bianca, alle rocce e alle piante, e dove l’acqua dei torrenti sembra una soluzione di gomma arabica, densa, dalla sfumatura violetta e formata da tante vene dai colori diversi.
Ormai siamo in pieno fantastico. Ma non basta. E’ la parte finale del romanzo quella che ci conduce, per dirla alla Pauwels e Bergier del Mattino dei Maghi, nell’Altrove Assoluto: è il viaggio definitivo di Pym, Peters e dell’indigeno Nu-Nu, verso l’ignoto del Polo Sud che ha fatto versare fiumi d’inchiostro agli esegeti delle più diverse tendenze critiche. Che significato ha questo viaggio attraverso un mare sempre più caldo (e non gelido come sarebbe più logico immaginare) verso una cortina di vapori bianco-opaco, sotto un cielo nero da cui piove cenere biancastra? che cosa mai sarà quella enorme shrouded human figure dalla pelle di un perfect whiteness of the snow che si erge di fronte a loro nelle righe conclusive dell’opera?
In genere, i critici ritengono che questo color bianco sia, come per la balena bianca Moby Dick, il colore della morte e in base a ciò si sono lanciati in analisi sul senso della morte nella narrativa di Poe e in quella americana in genere. Ma, ad un esame più sottile e maggiormente approfondito, le cose non stanno proprio così, non sono tanto semplici ed evidenti. Vediamo perhè.
Il viaggio in mare è di per sé un viaggio di iniziazione, quasi un rito di passaggio, soprattutto nell’Ottocento e specie se lo s’intraprende proprio come fa Pym, di nascosto, all’insaputa della famiglia. C’è innanzitutto il desiderio di diventare adulti, un tentativo di affrancamento, e questo vale inconsciamente anche per l’autore: come ha notato Harold Beaver (alla cui edizione critica del Gordon Pym, Penguin 1975, facciamo riferimento per varie informazioni e note) tutti i personaggi del romanzo il cui nome richiama quello del padre adottivo di Edgar, il commerciante John Allan, fanno una bruttissima fine: William Allen sgozzato e Wilson Allen sepolto da una frana. Poi c’è una serie di prove che Pym supera tutte: il buio e la solitudine per vari giorni nella stiva del Grampus; la tempesta e il naufragio; la fame e il cannibalismo; la visione della "nave dei morti", che assomiglia anche a quella di cui parla la mitologia scandinava; quindi i vari incidenti nell’isola di Tsalal con il pericolo incombente di essere uccisi dagli indigeni, o di morire anche qui di fame o di restare seppelliti vivi o di precipitare dalle rocce. Infine, il viaggio verso l’ignoto polare. Sopravvissuto a tutte queste difficoltà, sarebbe strano che Pym si diriga verso qualcosa che simboleggia inequivocabilmente e solo la morte.
E infatti Pym non muore, tanto è vero che ritorna in patria per poter raccontare le proprie straordinarie avventure: si salva, ma non si sa esattamente in che modo poichè, come il curatore (Poe) spiega subito dopo in una sua nota, rimane vittima di una "morte recente, improvvisa e tragica" che gli impedisce di dare alle stampe gli ultimi due o tre capitoli della sua "relazione". Quindi, fatto che molti critici non hanno preso nella dovuta considerazione, muore solo in un momento successivo per cause che Poe lascia avvolte anch’esse nella indeterminatezza. Non sapremo mai come si sia salvato dalla sua ultima avventura e sia potuto rientrare negli Stati Uniti. Ma si è salvato, questo è il punto: la visione finale del romanzo non è dunque una visione di morte, ma conseguente a quella specie di "rito di passaggio", a quel "rito iniziatico" cui si è volontariamente sottoposto imbarcandosi sulla scassata baleniera Grampus. Sicché, la continuazione del romanzo che Jules Verne pubblicò nel 1897 con titolo La Sphinx des Glaces è sicuramente non solo troppo positivista e razionalista, ma anche sostanzialmente sbagliata in quanto fa rinvenire al Polo Sud lo scheletro di Pym da parte di una spedizione guidata dal fratello del comandante del Jane Guy partito alla ricerca dei dispersi, quando noi sappiamo benissimo che Pym è sopravvissuto.
Affermare allora che il bianco è un colore collegabile tout court alla morte sembra essere riduttivo se non errato, almeno nel caso di Poe, come peraltro anche il sottoscritto riteneva venticinque anni fa. Il fatto è che, al pari di ogni simbolo, il suo significato è duplice e bisogna saperlo decrittare.
In effetti, alle origini della cultura occidentale il colore bianco è collegato alla morte; oggi, come ben si sa, è il nero il colore del lutto, mentre questo senso è rimasto al bianco nelle culture orientali. Il bianco è il colore del sudario, dei fantasmi, delle apparizioni spettrali, è il "colore della paura" ("sbiancò per la paura", "gli vennero i capelli bianchi per la paura"), come nota Jacques Cabau (E.A.Poe, Mondadori, 1961): è l’assenza di tutti i colori, come la somma di tutti i colori, caratteristica che lo avvicina al suo opposto, il nero, che dunque fra loro combaciano e allo stesso tempo si oppongono. E’ sintomatico che quasi tutti i popoli antichi abbiano considerato, attribuendo i colori ai quattro punti cardinali, il bianco tipico sia dell’Est che dell’Ovest: brillante a Oriente, dove nasce il sole, dove si manifesta l’alba; opaco a Occidente, dove tramonta il sole, dove comincia la notte. Si tratta, come si vede, di un colore di passaggio e di transizione da uno stato all’altro, dalla nascita alla morte e alla rinascita. Questo è l’elemento fondamentale: il ciclo è senza fine, non c’è soluzione di continuità. Il bianco, candidus, è dunque il colore dei "candidati", di coloro che stanno per mutare condizione: di chi, tra le popolazioni africane, si sottopone ai riti di passaggio per entrare nell’età adulta, o nella Grecia antica ai riti della iniziazione orfica, ma anche dei battezzandi, dei comunicandi e dei nubendi del cristianesimo, insomma di chi sta per accedere ad un nuovo e superiore status sia civile che spirituale. Diventa, quindi, il colore della toga virile nell’antica Roma, dei sacerdoti druidi e poi cattolici, e diventa anche il colore del re quando questi assume una funzione sacerdotale, prima di passare al rosso e al porpora, tipico colore regale e guerriero. Anche in alchimia, l’iter per realizzare la Grande Opera è esattamente questo: nigredo, albedo, rubedo: dal Nero, al Bianco, al Rosso. Il bianco ci indica, allora, un passaggio dalla morte alla rinascita, prima di accedere alla illuminazione finale, solare e regale.
Rileggiamo così con maggiore attenzione le due pagine finali del Gordon Pym: ci accorgiamo allora che in esse si fondono due suggestioni conscie e inconscie. La prima è senza dubbio quella che deriva dalle teorie dell’ex capitano di fanteria John Cleves Symmes (1780-1829) diffuse nel 1818 attraverso un vero e proprio manifesto (iniziava con queste parole: "Dichiaro che la Terra è cava e abitabile all’interno... e che è aperta ai poli") e poi popolarizzare con il romanzo Symzonia pubblicato nel 1820 dal "capitano Adam Seaborn" (evidente pseudonimo - Adamo nato dal mare - dello stesso Symmes) sullo stile dei Viaggi di Gulliver di Swift. Ecco allora che i fenomeni cui Pym assiste dalla canoa avvicinandosi al Polo Sud possono spiegarsi per via naturale con queste teorie: temperature mite, acqua calda e ribollimento della superfice oceanica prodotti da vulcani sottomarini e da gaysers, la corrente che trascina la canoa inesorabilmente verso l’immane foro antartico, le aurore boreali create da questa singolare situazione geografica, e poi i capitoli mancanti che forse avrebbero potuto raccontare il suo viaggio tra le meraviglie interne al globo terrestre e la sua ricomparsa in superfice, evidentemente transitando dall’apertura opposta del Polo Nord, e che comunque Poe ritenne non solo di non descrivere, ma neppure di accennare, lasciando tutto in una enigmatica sospensione, come era tipico della sua narrativa. L’idea che ai due Poli vi fossero delle entrate per le viscere del globo era stata suggerita dalle carte geografiche disegnate secondo la "proiezione di Mercatore": un effetto prospettico, ma che colpì l’immaginazione di Poe il quale, in una nota posta alla fine del suo Manoscritto trovato in una bottiglia, rivela che quando il suo racconto venne pubblicato per la prima volta, egli "non conosceva ancora le carte di Mercatore, nelle qwuali si vede l’oceano precipitarsi, per quattro bocche, nel Golfo Polare, scomparendo nelle viscere della Terra".
Ma c’è un ulteriore aspetto, quello appunto simbolico, da tener presente e che offre un’interpretazione inedita e abbastanza esaustiva del viaggio e dell’enigmatico finale inspiegato. Vediamone i singoli elementi:
- la canoa si avvicina al suo destino attraverso un mare che diventa sempre più lattiginoso: l’elemento liquido, informe, mutevole, instabile è da sempre un simbolo di trasmutazione e passaggio nei miti, nell’esoterismo, nell’alchimia e in psicanalisi; un passaggio dalla non-forma alla forma, dall’indistinto e dall’indeterminato al distinto e determinato, fisso, preciso, se vogliamo anche dal femminile al maschile: l’ "attraversamento delle acque" situate fra terra e cielo significa superare prove per giungere ad uno stato spirituale superiore. Per di più, qui non si tratta di acqua vera e propria, ma di un liquido che via via che si procede acquista la consistenza del latte, il cui colore è comunque sempre bianco: vale a dire un simbolo di vita, di potenzialità attiva, di promesse positive, di realizzazioni future;
- dal cielo cade ininterrottamente una "misteriosa soatanza simile a cenere" in sempre maggiore quantità man mano che la canoa avanza: qualcosa che ricorda la cenere ha di certo un significato di morte e penitenza, soprattutto nella religione cattolica (il "Pulvis es et in pulverem reverteris" del Mercoledì delle Ceneri), ma essa viene prodotta dalla combustione, quindi significa una purificazione attraverso il fuoco, come nei riti di passaggio e nella trasformazione delle ceneri nell’athanor alchemico: anche qui, dunque, una indicazione di rinascita;
- all’orizzonte si profila una "cortina di vapori" di un bianco opaco e grigiastro, che sembrano precipitare dal cielo senza alcun rumore: è chiaro il collegamento con il senso del colore dato all’Ovest dove cala il sole, dove muore la luce: qui è il Sud dove precipitano i vapori e, come dimostra la corrente calda che si rafforza, anche le acque oceaniche. Ma dall’occidens, dal tramonto, dalla morte, si passerà all’oriens, al sorgere, alla rinascita; dal bianco opaco, al "bianco perfetto della neve", quindi brillante, e al rosso. E infatti, attraverso "enormi squarci momentanei" Pym scorge "un caos di forme labili, malcerte": è la nuova realtà in formazione verso cui procede;
- il viaggio in direzione del Polo Sud si svolge dentro "una sinistra tenebra" e pian piano "l’oscurità si [fa] sempre più fitta", mentre Pym naviga su un mare lattescente da cui sorgono "riflessi luminosi" che avvolgono la canoa di "luce irreale": è come se i protagonisti fossero all’interno di una coppa metà bianca e metà nera dove i due colori più che in contrasto sembrano complementari, proprio come lo ying-yang, il simbolo del Tutto senza inizio né fine, dirigendosi verso la loro sorte ineluttabile a velocità paurosa: un viaggio dell’Essere ormai nella sua completezza verso un nuovo destino;
- dal velario che è davanti a lui Pym vede emergere "uccelli giganteschi di un pallido biancore" che emettono l’enigmatico stridio Tekeli-li! proprio come gli indigeni dell’isola di Tsalal: gli uccelli sono dei messaggeri, ovviamente, dal colore pallido e opaco dell’occasum, e stanno per annunciare quale sarà la conclusione del viaggio; potrebbero essere grandi gabbiani e il gabbiano, il caso vuole, viene considerato dagli indiani della Colombia britannica, "proprietario della luce del giorno";
- pochi attimi prima della conclusione della corsa, Pym e Peters si accorgono che Nu-Nu è morto: l’indigeno era caduto sul fondo della canoa non appena aveva toccato un fazzoletto bianco: la nigredo non può sopravvivere una volta giunti all’albedo, è ormai una tappa che ci si deve lasciare alle spalle, l’informità caotica cede il passo alla forma compiuta lungo la via che porta alla Grande Opera;
- alla fine si erge quella "figura umana avvolta in un sudario di proporzioni ben più grandi di ogni altro abitatore della terra", che è stata interpretata di volta in volta come l’immagine della madre amata, del padre non conosciuto, del patrigno odiato, della sposa bambina, addirittura di Gesù Cristo, o invece più prosaicamente come la magnetica "sfinge dei ghiacci" verniana. Intanto, bisogna precisdare che la figura è shrouded più che veiled, cioè non tanto avvolta da un velo ma da un sudario, il lenzuolo dei morti; nel nostro caso però, proseguendo nel ragionamento simbolico sin qui fatto, è una morte che presuppone una resurrezione indicata sia dal luogo in cui la figura misteriosa si manifesta (l’occasum), sia dal suo colore, e il colore della pelle che appare è "del bianco perfetto della neve". Viene inevitabile da dire, allora, che questa "figura umana" altri non sia che una proiezione dell’Io del protagonista: è l’immagine di Arthur Gordon Pym che si trova ormai al di là della cortina di vapori biancastri, che ha superato l’occasum e si appresta a rinascere, che ha già raggiunto uno status spirituale superiore (la maggiore grandezza), che si prepara ad una nuova vita dopo essersi liberato del lenzuolo in cui sono avvolti i cadaveri. E infatti, come è il caso di ripetere ancora, Pym (e Peters con lui) sopravvivono ad una sorte che sembra in apparenza segnata: ciò non vuol dire altro che non sono caduti affatto nel "baratro spalancato per inghiottirli". Perchè? Ma perchè lo ha impedito proprio quella immensa figura umana coperta da un sudario sorta sul loro cammino, come si dice esattamente: l’Io di Pym, ormai trasfigurato, ha impedito la catastrofe e la morte, o meglio: la catastrofe e la morte si sono tramutate in vittoria e resurrezione. Per questo Arthur Gordon Pym può permettersi di raccontare, tramite Edgar Allan Poe, le sue avventure "talmente al di là della esperienza umana e pertanto al di là dei limiti di ciò che è umanamente possibile credere".
Certo, come tutti i critici sottolineano lo scrittore di Boston era inesorabilmente attratto dall’abisso, dalla caduta, dalla vertigine del vuoto, e lo dimostra anche in questo romanzo, là dove Pym, mentre discende lungo il costone roccioso dell’isola, viene travolto dalla sua "immaginazione eccitata" e prova un irresistibile "desiderio di caduta" lasciandosi andare, ma, almeno in questo caso, riesce a superare la prova al punto da darne testimonianza. Quindi, se vogliamo usare questi termini, Pym/Poe supera le varie tappe del suo personalissimo "rito di passaggio", giunge al termine di una personalissima "iniziazione", subisce una "seconda nascita", diventa un uomo diverso, grazie quasi ad una trasmutazione alchemica. Ovviamente, in senso simbolico e almeno nel e grazie al romanzo. Gli elementi ci sono proprio tutti, da come li conosciamo dalle antiche documentazioni rituali e dai vecchi testi dell’ermetismo: le prove della terra, dell’acqua e del fuoco, la morte rituale (in alcuni casi l’iniziando viene proprio rinchiuso in una bara e ricoperto da un sudario), la rinascita a nuova vita; il passaggio, con relative prove da subire e superare, nell’iter alchemico: "Quando sopravviene il Bianco nella materia della Grande Opera, la Vita ha vinto la Morte, il loro Re è resuscitato (...) Allora la Materia ha acquistato un tal grado di fissità che il Fuoco non saprebbe più distruggerla", ricorda A.J.Pernety nel suo Dictionnaire mytho-hermétique (1758).
Che in seguito Pym muoia tragicamente e sul serio a causa di un improvviso "incidente" (vale a dire per cause esterne), questo non interessa e non tocca la situazione precedente. E lo stesso vale per l’altrettanto tragica fine di Poe, dieci anni e poco più dopo la pubblicazione del suo unico romanzo, a Baltimora.
 
Top
Kirsten
view post Posted on 25/5/2005, 14:23




Capperi...
Complimenti Penny, davvero!!!


Edited by Kirsten - 25/5/2005, 15:24
 
Top
penelopelamammadijacopo
view post Posted on 25/5/2005, 15:21




CITAZIONE (Kirsten @ 25/5/2005, 15:23)
Capperi...
Complimenti Penny, davvero!!!
:bravo: :ok:

Se hai tempo leggi la compagnia dei celestini. E' un vero spasso e non riuscirai a staccartene sino alla fine. Un colpo di scena dietro l'altro!
 
Top
Perfect Death
view post Posted on 9/9/2005, 09:14




Se non lo avete mai letto, Intervista col Vampiro di Anne Rice (che ha ispirato l'omonimo film con Tom Cruise, Brad Pitt, Antonio Banderas e Kirsten Dunst). E' in assoluto il mio romanzo preferito e, in genere, quando lo consiglio o lo regalo la gente non rimane mai delusa smile.gif
 
Top
xsandara
view post Posted on 9/9/2005, 09:20




CITAZIONE (Perfect Death @ 9/9/2005, 10:14)
Se non lo avete mai letto, Intervista col Vampiro di Anne Rice (che ha ispirato l'omonimo film con Tom Cruise, Brad Pitt, Antonio Banderas e Kirsten Dunst). E' in assoluto il mio romanzo preferito e, in genere, quando lo consiglio o lo regalo la gente non rimane mai delusa smile.gif

L'HO FINITO DA POCO....E NON NE SONO RIMASTA DELUSA...ANZI HO CAPITO TANTE SFUMATURE (IMPORTANTI) CHE NEL FILM NON HO CARPITO
 
Top
Kirsten
view post Posted on 9/9/2005, 11:26




CITAZIONE (Perfect Death @ 9/9/2005, 10:14)
Se non lo avete mai letto, Intervista col Vampiro di Anne Rice (che ha ispirato l'omonimo film con Tom Cruise, Brad Pitt, Antonio Banderas e Kirsten Dunst). E' in assoluto il mio romanzo preferito e, in genere, quando lo consiglio o lo regalo la gente non rimane mai delusa smile.gif

L' ho letto anch' io..
Bellissimo romanzo..
wub.gif happy.gif
 
Top
Ciro.84
view post Posted on 9/9/2005, 18:58




Intervista col Vampiro è davvero stupendo.

Io ho da poco letto The Hours e A Home at the End of the World, entrambi di Michael Cunningham, entrambi ispiratori di recenti film, entrambi meravigliosi.

Consiglio anche Possession di Antonia S. Byatt, uno dei miei libri contemporanei preferiti in assoluto.

Classici...Oscar Wilde. Da leggere rigorosamente in lingua originale!
 
Top
ljubov'
view post Posted on 26/9/2005, 17:51




Io consiglio:
- Tutti i libri di Chuck Palahniuk
- 1984 (di George Orwell)
- Cime Tempestose (di Emily Bronte)
- Seta, Castelli di Rabbia, Novecento, Senza Sangue, Oceano Mare (di Alessandro Baricco)
- Il ritratto di Dorian Gray (di Oscar Wilde)
- High Fidelity (Alta Fedeltà) e How to be Good (Come diventare Buoni) di Nick Hornby.
biggrin.gif
 
Top
QuentinAtras
view post Posted on 5/11/2006, 12:55




High Fidelity (Alta Fedeltà) è il mio libro preferito è molto bello, cavolo anche il film è carino, però cavolo quel libro è eccezionale :D :D :D :D
 
Top
54 replies since 8/11/2004, 13:26   714 views
  Share