Biblioteca di Alessandria

La storia dalla nascita alla distruzione

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  1. kiccasinai
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    Biblioteca di Alessandria

    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.Wikipedia

    La Biblioteca reale di Alessandria fu la più grande e ricca biblioteca del mondo antico ed uno dei principali poli culturali ellenistici.

    Andò distrutta nell'antichità in data imprecisata (presumibilmente intorno all'anno 270 o, più probabilmente verso l'anno 400 e in circostanze misteriose).

    Anche in suo ricordo è stata edificata, ed è in funzione dal 2002, la moderna Bibliotheca Alexandrina. La Biblioteca di Alessandria fu costruita intorno al III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo. Questo polo culturale, annesso al Museo, era gestito da un лροστάτης(voce da tradurre), ruolo di grande autorità donato direttamente dal re (il primo filologo ad occupare tale carica fu Zenodoto di Efeso). Questo aveva il compito di dirigere una squadra di preparatissimi grammatici e filologi che avevano il compito di annotare e di emendare i testi delle varie opere di cui si redigevano delle edizioni critiche che venivano poi conservate all’interno della Biblioteca stessa: si suppone che al tempo di Filadelfo i rotoli conservati in questo luogo fossero circa 490.000 (quando non bastò più lo spazio, venne costruita una seconda struttura, la Biblioteca del Serapeo).

    Indice [nascondi]
    1 Storia
    1.1 Distruzione della biblioteca
    1.2 Prove dell'esistenza della biblioteca dopo Cesare
    1.3 Fine della biblioteca
    2 Elenco dei capo-bibliotecari della Biblioteca di Alessandria
    3 Bibliografia
    4 Voci correlate
    5 Collegamenti esterni



    Storia [modifica]
    Secondo le fonti la Biblioteca di Alessandria fu costruita all'inizio del III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo.

    È comunque probabile che almeno l'ideazione della biblioteca sia stata del padre del Filadelfo, Tolomeo I, che fece edificare l'annesso tempio delle Muse, il Museo.

    Secondo una usanza tipica della politica di propaganda della dinastia tolemaica è verosimile che l'importanza del ruolo del primo faraone tolemaico sia stata offuscata a favore del figlio.

    Questo fatto sarebbe comprovato dalla "Lettera di Aristea", la quale attribuisce l'iniziale organizzazione della biblioteca a Demetrio Falereo, amico di Teofrasto e allievo di Aristotele, la cui biblioteca sarebbe servita da esempio per l'ordinamento di quella di Alessandria.

    Secondo le fonti Demetrio fu cacciato da Tolomeo II all'inizio del suo regno ed è quindi probabile che i lavori di costruzione della biblioteca iniziarono già sotto Tolomeo I.

    Sicuramente è da attribuire al Filadelfo l'impulso dato alla politica di acquisizione di opere, soprattutto con il cosiddetto "fondo delle navi". Questa raccolta deve il suo nome al fatto che, secondo un editto faraonico, tutti i libri che si trovavano sulle navi che sostavano nel porto di Alessandria dovevano essere lasciati nella biblioteca in cambio di copie.

    Da ricordare che fu in questo periodo che fu intrapresa la traduzione in greco dell'Antico Testamento, la famosa Septuaginta o "Bibbia dei Settanta".

    Al tempo di Tolomeo III dovevano esistere già due biblioteche: la più grande, all'interno del palazzo reale, era adibita alla consultazione da parte degli studiosi del Museo, mentre la seconda, più piccola e destinata alla pubblica lettura, si trovava all'esterno della corte, nel tempio di Serapide, il "Serapeum".

    Si presume che al tempo del Filadelfo i rotoli conservati nella biblioteca maggiore fossero circa 490.000, mentre quelli della biblioteca del Serapeo ammontavano a circa 42.800.

    L'effettiva consistenza libraria della Biblioteca di Alessandria, come anche il numero degli autori dei libri, è sconosciuta, dato che molti rotoli potevano contenere più opere e molti di questi potevano essere duplicati.

    Il primo direttore della biblioteca fu Zenodoto di Efeso, famoso per l'edizione critica dei poemi di Omero ed al quale si deve la sistemazione in ordine alfabetico del patrimonio librario.

    La prima catalogazione delle opere contenute nella biblioteca si deve forse a Callimaco di Cirene, invitato da Tolomeo I ad unirsi al circolo di intellettuali della corte alessandrina.

    La sua grande opera, i Pinakes o Tavole delle persone eminenti in ogni ramo del sapere con l'elenco delle loro opere, è probabilmente una versione dell'elenco per categorie redatto per il catalogo della biblioteca reale.

    Dopo la direzione di Apollonio Rodio, nella seconda metà del III secolo a.C. fu a capo della biblioteca il grande geografo Eratostene, che, a differenza dei predecessori, contribuì alla crescita delle opere di ambito scientifico.

    Fu comunque nella prima metà del II secolo a.C. con Aristofane di Bisanzio ed Aristarco di Samotracia che la lessicografia e la filologia alessandrina toccarono l'apice della loro fortuna.

    Dopo la metà del II secolo le complesse vicende interne e i disordini sociali non permisero ai Tolomei di proseguire la politica culturale dei predecessori e la Biblioteca ed il Museo persero progressivamente il ruolo che avevano ricoperto in passato.


    Distruzione della biblioteca [modifica]
    Le fonti riguardanti la fine della Biblioteca di Alessandria sono contraddittorie ed incomplete e non permettono di far luce sulla data della distruzione definitiva della biblioteca. La prima notizia di un incendio che distrusse almeno parte del patrimonio librario concerne la spedizione di Giulio Cesare in Egitto. In seguito ai disordini scoppiati ad Alessandria un incendio si sviluppò nel porto della città ed avrebbe danneggiato la biblioteca.

    Dei sedici scrittori che hanno tramandato notizie dell'episodio, dieci, fra cui lo stesso Cesare nella "Guerra alessandrina", Cicerone, Strabone, Livio, Lucano, Floro, Svetonio, Appiano ed Ateneo non riportano alcuna notizia relativa all'incendio del Museo, della Biblioteca o di libri. Sei di questi forniscono notizie dell'incidente come segue:

    Seneca (49) afferma che furono bruciati 40.000 libri.
    Plutarco (c. 117) dice che il fuoco distrusse la grande Biblioteca.
    Aulo Gellio (123 - 169) riporta la notizia di 700.000 volumi bruciati.
    Dione Cassio (155 - 235) informa che furono incendiati i depositi contenenti grano ed un gran numero di libri.
    Ammiano Marcellino (390) scrive di 70.000 volumi bruciati.
    Paolo Orosio (c. 415) conferma il dato di Seneca: 40.000 libri.
    Di tutte le fonti, Plutarco, nella "Vita di Cesare", è l'unico che parla della distruzione della biblioteca riferita esplicitamente a Giulio Cesare.


    Prove dell'esistenza della biblioteca dopo Cesare [modifica]
    La testimonianza di una completa distruzione della biblioteca nel corso della guerra alessandrina sarebbe inficiata non solo dalla discrepanza delle fonti, ma anche da altri indizi, che indurrebbero a pensare ad una perdita parziale del patrimonio librario.

    L'interpretazione più plausibile è che solamente i libri depositati in un magazzino nei pressi del porto furono accidentalmente distrutti dal fuoco. Questa ipotesi sarebbe suffragata da altre fonti che fanno supporre che la biblioteca fosse ancora in piedi in tempi più recenti dell'episodio narrato. Si sa infatti che Strabone durante il suo soggiorno in Egitto (25 a.C.-20 a.C.) lavorò nella biblioteca e che un ampliamento degli edifici fu realizzato da Claudio (41-54).

    La continuità storica della biblioteca sarebbe comprovata anche da una iscrizione databile alla metà del I secolo e dedicata a Tiberio Claudio Balbillo, che avrebbe ricoperto un incarico supra Museum et ab Alexandrina bibliotheca.


    Fine della biblioteca [modifica]
    La distruzione della biblioteca è attribuita dalla maggioranza degli storici al tempo del conflitto che oppose l'imperatore Aureliano alla regina Zenobia di Palmira, verso il 270.

    Nel corso dei feroci scontri ingaggiati nella città di Alessandria, l'area del palazzo reale fu completamente distrutta e con essa verosimilmente anche la biblioteca.

    In alternativa a questa teoria alcuni studiosi, basandosi su fonti che attestano la sopravvivenza del Museo fino al IV secolo, hanno ipotizzato che la distruzione della biblioteca vada ricondotta ad una data vicina al 400.

    Secondo questa interpretazione la fine della Biblioteca di Alessandria e del Museo sarebbe collegata a quella del Serapeo, la biblioteca minore di Alessandria, distrutto in seguito all'editto dell'imperatore Teodosio del 391.

    Ma quest'ipotesi è dovuta a probabile confusione tra le due biblioteche di Alessandria, mentre puramente fantasiosa appare un'altra ipotesi - anch'essa accreditata per evidenti motivi consolatòri - che ha attribuito la fine della biblioteca alla conquista (pacifica) della città da parte degli arabi musulmani che avrebbero infierito su quanto sopravvissuto all'attacco di Aureliano.

    Un episodio, chiaramente aneddotico e del tutto inattendibile, vuole che il generale ˁAmr ibn al-ˁĀṣ, incerto su che fare della biblioteca, abbia chiesto un parere al califfo ˁOmar, massima autorità dell'Islam. Il califfo avrebbe risposto all'incirca:

    « In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte »


    Ma si tratta evidentemente di un episodio dal chiaro sapore propagandistico anti-islamico e nessuna fonte storica può sensatamente dimostrare che la biblioteca del Museo sia stata distrutta in effetti dall'invasore arabo (d'altronde in numerosissime altre occasioni esiste la prova certa dell'accentuato interesse arabo per la saggezza anche dei non-musulmani, come avvenne a Harrān e a Jundishāpūr).
     
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