Storia della Civilta' Egizia

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    Fonte: www.cronologia.it

    >L'EGITTO

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    FONTI
    DELLA STORIA D'EGITTO -
    IL
    PAESE - ORIGINI DEGLI EGIZI - VITA - USI E COSTUMI -
    STORIA
    - L'ANTICO IMPERO - IL MEDIO IMPERO - IL NUOVO IMPERO - LA RELIGIONE - LETTERATURA,
    SCIENZE E INDUSTRIE - LE ARTI -
    L'EGITTOLOGIA
    - GLI SCAVI

    (la cartina a fondo pagina)

     


    FONTI
    DELLA STORIA D'EGITTO.

    - La storia della civiltà egiziana, più antica d'ogni altra,
    viene considerata giustamente come una conquista della scienza moderna. Sino
    alla fine del secolo XVIII, se ne seppe poco più di quanto ne scrissero
    Erodoto e Diodoro Siculo, e le opere di questi antichi, pieni di evidenti
    contraddizioni e di favole, erano fonti poco sicure e troppo incomplete. Si
    possedeva inoltre una cronologia in lingua greca, scritta al tempo di Tolomeo
    Filadelfo da un sacerdote egizio chiamato Manetone; ma a quel documento, che
    fa risalire i primi re di Egitto a 5000 anni avanti l'era cristiana, non si
    attribuiva, allora, alcun valore storico. La Genesiera per tutti il racconto
    fedele dei primi tempi dell'umanità, e si credeva in modo assoluto
    che il popolo ebreo fosse quello che aveva avuto per primo una civiltà.



    La spedizione del generale Bonaparte in Egitto diede origine agli studi e
    alle scoperte che dovevano permettere una ricostruzione sicura della storia
    antichissima di quel paese. G. F. Champollion, essendo riuscito a trovare
    la chiave della scrittura geroglifica egizia, rese possibile ai ricercatori
    del suo tempo e ai futuri la lettura di tutti i documenti scolpiti e scritti
    che l'aria pura e asciutta della valle del Nilo conservò, in gran numero,
    sulla pietra e sul papiro. Si controllarono allora i rac
    conti
    degli scrittori greci e la cronologia di Manetone, e si constatarono l'esattezza
    di quest'ultima e la puerilità di certe favole riferite da Erodoto
    e da Diodoro. Questi due storici, il primo specialmente, rimangono nondimeno
    preziosi per quanto concerne i costumi dell'Egitto nella loro epoca e per
    le descrizioni di ciò che videro coi loro occhi.



    I documenti che si hanno oggi per la storia antica dell'Egitto sono di due
    specie : quelli che servono per la storia generale (liste di re, racconti
    di guerre, codici religiosi e civili) e quelli che dipingono la vita privata
    degli abitatori della regione. I primi consistono in scritti sul papiro o
    sulla pietra (il Papiro di Torino, la Sala degli Antenati nella Biblioteca
    Nazionale di Parigi, la Tavola di Abido nel Museo Britannico, la Tavola di
    Saqqarah, al Museo del Cairo, e un numero rilevantissimo d'iscrizioni che
    registrano sui resti di monumenti d'ogni genere gli avvenimenti dei diversi
    regni). I documenti relativi alla vita privata sono i bassorilievi, con geroglifici
    esplicativi, che coprono le pareti delle tombe sotterranee e che descrivono
    minutamente l'esistenza quotidiana degli Egizi. A questi documenti si aggiungono
    infine le opere manoscritte, letterarie o didattiche e gli oggetti e le opere
    d'arte che si trovarono negli scavi, da quelli della fine del '700 a quelli
    recentissimi della Valle dei Re.



    La cronologia della storia d'Egitto rimane tuttavia alquanto confusa, per
    il fatto che, nel gran numero delle dinastie registrate da Manetone e controllate
    sui papiri, alcune regnarono forse simultaneamente. Manetone rimane ad ogni
    modo fino ad oggi la guida più sicura per questa cronologia, che però,
    nelle interpretazioni degli egittologi più autorevoli presenta differenze
    superiori a 1800 anni per la data del primo re. Mentre il Boeckh la colloca
    a 5702 anni prima di Gesù Cristo, il Lepsius la fissa a 3892. Noi resteremo,
    col Mariette e col Le Bon, fra questi due punti estremi, e adottando la cronologia
    di Manetone, considereremo la data di 5004 anni avanti Gesù Cristo,
    come quella dell'assunzione al trono di Menes, fondatore della prima Monarchia
    egizia.



    Si annoverano in Egitto ventisei dinastie reali da quest'anno 5004 fino al
    527 a. C., che vide i Persiani impadronirsi della vallata del Nilo. Queste
    ventisei dinastie si dividono in tre periodi principali : l'antico Impero,
    che comprende dieci dinastie, dal 5004 al 3064: il medio Impero, con sette
    dinastie, dal 3064 al 1703; e il nuovo Impero, con nove dinastie, dal 1703
    al 527. Dopo la conquista dei Persiani, nel 527 prima dell'èra nostra,
    si contano ancora cinque dinastie, comprese quelle dei vincitori, e ciò
    porta a trentuno il numero delle dinastie egizie.



    ORIGINI DEGLI EGIZI.

    - Erodoto chiamò l'Egitto un dono del Nilo. ll paese infatti deve unicamente
    alle acque di questo fiume la sua fertilità, che favori il formarvisi
    di una densa popolazione con precoci sviluppi civili.

    Il Nilo corre in una angusta valle, della larghezza massima di 16 chilometri,
    chiusa ai due lati da due catene di rupi poco elevate : la Libica a occidente,
    che protegge la regione dalle sabbie del deserto; l'Arabica, a oriente, che
    offre ai porti del golfo antistante - quello di Berenice al sud, quello di
    Miosormos al nord - difficile passaggio. Così giace l'Egitto a forma
    di un'isola in un mare di sabbia, naturalmente protetta dal deserto e dal
    mare, fecondata dal contatto del fiume divino.

    Il quale, verso il solstizio d'estate, comincia a gonfiare; all'equinozio
    d'autunno ha raggiunto la massima altezza e ha inondato tutti i terreni che
    lo circondano, assecondato da canali di derivazione, da serbatoi artificiali,
    dagli antichissimi strumenti che sono la schaduf, mossa dalla mano
    dell'uomo, il noriah, mosso da buoi, i quali servono a sollevare
    l'acqua nei tratti di territorio elevato ed a spandervela.



    Nell'alto e nel medio Egitto non piove talvolta per anni e anni; la volta
    del cielo serba inalterato il suo profondo azzurro, la temperatura è
    calda e non di rado ardente nel giorno. La valle resterebbe inaridita senza
    l'intervento della pacifica inondazione.

    Alla fine di settembre, le acque si ritirano. Nella fanghiglia nerastra, si
    fanno le semine: da febbraio ad aprile si raccolgono le messi, abbondantissime,
    che fecero dell'Egitto il granaio di Roma. E ancora il Nilo, oltre a essere
    fonte di vita ubertosa alla pianura, offriva ai trasporti, alle comunicazioni
    fra i suoi abitanti le vie più facili e non interrotte, sule quali
    i venti del nord, per nove mesi dell'anno, facilitavano la navigazione.



    Molto si discusse e si discute tuttora sulle origini degli Egizi. Gli egittologi
    più competenti, e specialmente il Maspero li ritengono un popolo di
    sangue misto, nel quale però predomina il sangue semitico, cioè
    quello dei discendenti di Sem, figlio di Noè. Gli Egizi avrebbero dunque
    origine asiatica, mentre i Greci li credettero di razza africana, venuti dai
    paesi del sud e dall'Etiopia. Le statue trovate nelle tombe, i personaggi
    scolpiti nei bassorilievi che ornano i monumenti, dimostrano che gli Egizi
    antichi somigliavano ai fellah a contadini dell'epoca nostra. Quando
    il Mariette scoprì una delle statue più celebri dell'arte egizia,
    i suoi operai credettero di riconoscervi un loro contemporaneo, e lo chiamarono
    Sceik el Beled, il capo del villaggio.



    Secondo il Maspero, "l'Egizio era generalmente alto, magro, slanciato.
    Aveva le spalle larghe e robuste, i pettorali salienti, il braccio nervoso
    e terminato da una mano fine e lunga, l'anca poco sporgente, la gamba secca
    ed asciutta : i particolari anatomici del ginocchio ed i muscoli del garretto
    sono visibilmente forti, come nella maggior parte dei popoli camminatori.
    I piedi erano lunghi, ed appiattiti all'estremità per l'abitudine di
    marciare senza calzature. La testa è spesso troppo grossa in proporzione
    del corpo; il viso ha un'espressione mite e istintivamente triste, la fronte
    è un po' bassa, il naso è corto, gli occhi appaiono grandi e
    bene aperti, le gote tonde, le labbra grosse ma non soverchiamente sporgenti;
    la bocca, un po' lunga di taglio, conserva un sorriso rassegnato e quasi doloroso.
    Questi lineamenti, comuni alla maggior parte delle statue dell'antico e del
    medio Impero, si rinvengono più tardi in tutte le epoche.

    Alla dolcezza della fisionomia corrispondeva il carattere. Gli Egizi erano
    pazienti, operosi, sottomessi ai loro capi, spensierati e superstiziosi. L'amore
    per la famiglia era molto sviluppato. La donna, contrariamente a quanto generalmente
    si verifica presso i popoli orientali, veniva onorata, circolava liberamente,
    senza velo sul viso, e dirigeva la casa, nella quale era sovrana. Il rispetto
    e l'affetto per la madre erano considerati dagli Egizi come sacri doveri.



    VITA - USI E COSTUMI.

    - I costumi erano semplici. Le classi inferiori, assai sobrie, vivevano specialmente
    di stiacciate di durah, cotte nella cenere calda; abitavano in capanne di
    forma quadrata fatte di mattoni di fango misto con paglia triturata e disseccati
    al sole; capanne basse, con tetto piano, di foglie di palma. Le case dei ricchi,
    più comode, somigliavano alle case arabe odierne e avevano aperture
    soltanto su cortili interni.

    Il modo di vestire ci e reso noto dalle statue, dai dipinti murali e dai bassorilievi.
    Gli uomini delle classi elevate indossavano una specie di gonnellino a pieghe
    minute, chiamato calasiris, e una tunica con maniche; quelli delle
    classi inferiori portavano soltanto un pezzo di stoffa legato a mezzo il corpo,
    che non arrivava al ginocchio. Le donne portavano lunghe gonne strette, con
    bretelle. I fanciulli andavano nudi. La calzatura consisteva generalmente
    in una suola di cuoio legata al piede con due strisce di pelle. Tutti si annerivano
    le orbite con l'antimonio, per attenuare gli effetti della luce troppo viva
    sugli occhi. I ricchi portavano grossolane parrucche intrecciate, per difendersi
    il capo contro i raggi del sole.



    L'ANTICO IMPERO.

    - Come quella degli altri popoli, la preistoria egiziana ha carattere mitico.
    Nella leggenda, sono, gl'iddii stessi che governano il popolo. Il paese non
    è unificato. Appare diviso in tante province, che i Greci chiamarono
    poi nómoi. Ognuna di queste province fu governata dai suoi
    propri dii-re, che ebbero, in origine, ciascuno una fisionomia distinta da
    quella degli altri.

    I primi reggitori si perdono nella nebbia della favola o della leggenda religiosa.
    Si sarebbero avute, secondo gli annalisti egiziani, tre dinastie, le prime
    due divine, degli dèi maggiori e minori (Ra, Shu, Sibu, Osiride, Situ,
    Horus od Horos); la terza semidivina, dei geni o eroi o mani, alla quale avrebbe
    appartenuto Menes di Thinis (5000 a. Cr.), capostipite della dinastia thinita.
    Gli si diedero approssimativamente a successori quei re (Faraoni, figli di
    Ra, il dio Sole) di cui si trovarono i nomi nei monumenti più antichi,
    e ne sarebbero sorte successivamente tre dinastie, le due prime thinite, la
    terza menfita, così chiamata dall'aver fondato Menfi, la prima capitale
    del regno.

    E la storia segue a tessersi di leggende e a mischiarsi con queste, e gli
    avvenimenti terreni si alternano coi celesti e soprannaturali. Monumenti di
    quest'epoca protostorica sono le suppellettili rinvenute nelle tombe di Abido,
    di Neggadè, di Kom-el-Ahmar, che ci mostrano la civiltà più
    antica, dell'epoca in cui gli utensili di metallo erano usati insieme con
    gli oggetti e le armi in pietra. Le iscrizioni e le sculture attestano già
    la prima tecnica, i primi intendimenti artistici. Gli ultimi re di quest'epoca
    assoggettarono i principi delle varie circoscrizioni, senza toglier loro i
    diritti feudali, ma costringendoli ad esser loro vassalli e a riconoscere
    il loro diritto di regalità assoluta.



    L'ultimo re della terza dinastia, Snofru, passò l'istmo e lavorò
    primo le miniere di rame e di turchesi del Sinai, fonte inesauribile di ricchezza
    per l'Egitto. Ma la sua fama è offuscata da quella che il tempo ha
    steso su Kuphu (Cheope), su Khàfri (Chefrene), su Menkeri (Micerino),
    della quarta dinastia, che eressero le tre grandi piramidi dell'altopiano
    di Gizeh.

    Queste piramidi sono moli enormi di milioni di metri cubi di pietra, che centinaia
    di migliaia di braccia - di prigionieri di guerra e di liberi - per decine
    e decine d'anni sovrapposero, perchè il faraone avesse una tomba degna
    della sua potenza; sono opere che sorprendono, ancor più che per il
    loro aspetto colossale, per la struttura e per la scienza architettonica impareggiabile
    di cui sono testimonianza. Infatti le camere e i meandri interni, sotto il
    peso secolare di miriadi di tonnellate, non subirono la benchè minima
    deformazione.



    I re della IV e della V dinastia continuarono le opere dei loro predecessori,
    e guerreggiarono contro i nomadi dell'Asia. Ma ormai la potenza menfitica
    comincia a decadere.

    Il trapasso dalla V alla VI dinastia avvenne tra grandi tumulti. Pepi I, secondato
    dal ministro Uni - che lasciò la narrazione delle opere sue e di quelle
    del suo signore - nella penisola del Sinai turbata ristabilì l'ordine,
    assoggettò in parte il paese di Cush (l'Etiopia) e la Nubia, debellò
    le tribù vaganti della Siria; i suoi successori immediati, Mirinri,
    Sokarimsaf e Nofirkeri Pepi II, seppero conservare in tutta la grandezza l'eredità
    grandiosa, ma a tale compito furono impari i monarchi che vennero in seguito.

    Sokarimsaf II fu ucciso in una rivolta : a vendicarlo salì sul trono
    la sorella e moglie Nitagrit - la bella dalle guance di rosa - la Nitori greca,
    della quale la leggenda ha fatto una delle eroine più singolari. Piuttosto
    che la raffinata vendetta che si prese sugli assassini del fratello, gioverà
    ricordare che essa fece terminare la piramide di Menkeri, la fece ricoprire
    di lastre di porfido e volle riposarvi composta in un sarcofago di basalto
    azzurrino, sopra la camera funeraria del tempio.



    Ben poco si sa delle quattro dinastie che successero alla VI. Lotte e rivolte
    sanguinose si moltiplicano e si succedono; la potenza dei monarchi di Menfi
    si restringe sempre più, e infine essi sono costretti a rifugiarsi
    in Abido. Con la IX dinastia, città dominante divenne Hakhninsuten,
    l'Eracleopoli dei Greci, però senza che mutasse lo stato di anarchia
    nel quale - come si può desumere dagli scarsissimi documenti - da molti
    anni si trovava il paese.



    IL MEDIO IMPERO.

    - Le città del basso Egitto si erano a poco a poco staccate dai monarchi
    di Menfi, non solo per sete d'indipendenza, ma per necessità di conservazione.
    Esposte alle frequenti scorrerie delle tribù Cuscite, senza che l'autorità
    suprema provvedesse a proteggerle, avevan dovuto levare eserciti per difendersi.
    Tebe, posta a nord dell'ultima cateratta, nel luogo di convegno delle carovane
    provenienti dal mar Rosso, e situata sul Nilo, parte a destra - dove oggi
    sono Luxor e Karnak - e parte a sinistra - Gurnak, Medinet - era in condizioni
    tali da poter giungere al primato, e vi giunse.



    L'XI dinastia sorse in quella città. Ebbe per capostipite Entuf I,
    semplice nobile. Il suo potere si estese in breve a tutto l'Alto Egitto, mentre
    la dinastia di Eracleopoli conservava il possesso del Delta. Questi principi
    tebani si tennero, di fronte alla dinastia di Eracleopoli, nella condizione
    di vassalli rivoltosi, finchè Entuf IV si proclamò indipendente,
    assumendo addirittura il titolo di dio buono, padrone dei due paesi (Alto
    e Basso Egitto).

    Finalmente sotto Monthouptu IV (Nibkhruri), l'Egitto fu di nuovo unificato.



    La XII è senza dubbio la maggior dinastia del medio Impero. Gli Amenehmat
    e gli Usortesen (nomi portati con numeri diversi da quasi tutti i re di questa
    dinastia) furono forti in guerra e civilizzatori in pace. La prosperità
    pubblica e privata ci è attestata dalle iscrizioni ufficiali, numerosissime,
    che decantano grandi vittorie, aumenti di territorio, ricchezze acquistate,
    nonchè dalle tombe monumentali che quei re si costruirono.

    Amenemhat I e suo figlio Usortesen I guerreggiarono con fortuna contro i Libi,
    i Nubiani e i nomadi dell'Asia e fecero nuovamente scavare le miniere di rame
    e di turchesi. Una linea di fortezze sorse a segnare da questo lato i limiti
    dell'impero e ad impedire le incursioni dei predoni del deserto. Ad Usortesen
    IlI spetta il vanto di avere conquistato la Nubia definitivamente. A lui spetta
    pure l'iniziativa dei rilievi del Nilo verso mezzodì, che Amenemhat
    III, figlio suo, tradurrà in atto con la costruzione di un immenso
    serbatoio per regolare l'irrigazione di tutta la parte del paese che è
    posta a occidente del Nilo, al disopra di Menfi, là dove la catena
    libica s'allarga digradando nell'oasi detta il Fayum. Questo serbatoio è
    il cosiddetto lago Meride, che l'ignoranza dei Greci attribuì a un
    ipotetico re Miri, mentre quel nome significa semplicemente lago, come l'altro
    nome, Hunit, col quale è ricordata quell'opera, vale inondazione.

    Le dighe che trattenevano questo lago artificiale ebbero perfino cinquanta
    metri di spessore, e i loro avanzi si estendono ancor oggi per più
    di una cinquantina di chilometri : in mezzo sorgevano sopra due enormi piedistalli
    le colossali statue di Amenemhat III e della regina consorte, alle quali il
    Nilo, al momento della piena delle acque, veniva a lambire i piedi, come a
    vincitori. Erodoto considerava il lago Meride come la più grande meraviglia
    dell'Egitto. Il Labirinto che lo stesso re volle costruire, palazzo di più
    di tremila camere, la cui immensa facciata di calcare bianco si rifletteva
    nel lago, passa in seconda linea di fronte a tale opera. Con Amenemhat IV
    e sua sorella Sovkunofriu, appena tredici anni e qualche mese dopo la morte
    del grande Amenemhat III, si spense ingloriosamente la XII dinastia.



    Nella XIII dinastia, i re di nome Nofiatotpu si alternano con i Sovkhotpu,
    che continuano l'opera dei loro predecessori.

    Ancora una volta il centro della dominazione si sposta, ridiscendendo verso
    le città del delta - Mendes, Sais, Bubaste, Tanis, Xois - che mantengono
    la prosperità ormai secolare.

    A mettervi fine dilagarono dall'istmo le tribù dei pastori semiti.
    Oriunde della Caldea, attraversato il deserto, dalla Caldea al Giordano, precipitarono
    sulla Siria annientandone i popoli; occuparono tutta la regione dall'Eufrate
    all'Egitto, travolsero la resistenza della XIV dinastia, invasero il Delta,
    s'impadronirono di Menfi, dove il loro capo Shalati fondò una dinastia
    che viene annoverata come la XV, sebbene l'alto Egitto conservasse la propria
    autonomia, contemporaneamente, sotto una lunga serie di re tebani.



    Gli Egizi, che in ogni tempo avevano dovuto lottare contro i nomadi saccheggiatori,
    cui davano il nome di Shasu, o Shous, diedero questo nome anche ai nuovi invasori.
    II re di questi fu il re dei Shasu (Hiq-Shasu), donde i Greci trassero il
    nome di Hyksos, che vale a designare i re Pastori.

    Dopo alcuni anni di guerre e di saccheggio, costoro cercarono di rassodare
    il loro governo. A tale scopo, per impedire il rinnovarsi d'una invasione
    dei fratelli vaganti per il deserto, e per lasciare traccia della saggezza
    e della potenza sua, Shalati fondò presso l'istmo una città
    forte, Avaris, e accanto ad essa un campo trincerato capace di duecento quaranta
    mila uomini.

    I vincitori semiti adottarono insensibilmente (più che per partito
    preso, per fatto che la civiltà loro era inferiore a quella dei vinti)
    gli usi, le reggi, la religione degli Egizi, ma non per questo riuscirono
    ad assicurarsi la benevolenza degli orgogliosi nipoti d' Horus.



    Tre dinastie semitiche - dalla XV alla XVII dominarono da Tanis, nel Delta,
    per 500 anni, mentre in Tebe tenevano accesa la fiamma della resistenza gli
    eredi dei faraoni gloriosi. Non valse a schiacciare il loro ardimento il trionfo
    di Apopi lI (XVI dinastia); Tinaà Soqnunri I si proclamò indipendente;
    un suo successore tolse Menfi ai Pastori e infine, dopo sei secoli di dominazione
    straniera, Ahmosi I, fondatore della XVIII dinastia tebana, diede l'ultimo
    corpo alla dominazione degli Hyksos nel Delta, ricacciandoli nel loro campo
    trincerato, da dove dopo una lunga resistenza, ridotti a bande disorganizzate,
    alcuni ripassarono l'istmo, altri rimasero nel paese subendo duramente la
    schiavitù che i loro padri avevano un tempo inflitta agli Egizi.

    Così 18 secoli prima della era nostra, l'Egitto fu riunito a sarda
    compagine sotto un unico re nazionale, che attese, liberato il paese dal giogo
    straniero, a guarirlo darle piaghe di una lunga lotta.






    IL NUOVO IMPERO.


    - Gli inizi del nuovo impero furono dominati dallo spirito militare sviluppatosi
    nella guerra contro i Semiti : le armi assunte da Ahmosi, o Ahmes I, sono
    deposte soltanto dopo che tre bellicose dinastie si sono stancate e cinque
    secoli sono trascorsi.

    Amenotpu, o Amhenotep I, figlio di Ahmosi estese la sua signoria sull'Etiopia.
    Le frontiere meridionali furono dalla seconda spinte fino arra quarta cateratta;
    le leggi, i costumi, la religione
    egizia
    si stabilirono sulle rive dei Nilo Azzurro e vi si radicarono così
    profondamente che più tardi parrà ai Greci che la civiltà
    abbia risalito il corso del Nilo, discendendo dall'Etiopia.



    Tutmosi o Totmes I, nipote del vincitore degli Hyksos, conduce i suoi sudditi
    a combattere fin nel paese loro gli effimeri dominatori d'Egitto. Là,
    nel territorio fra l'Eufrate e l'Oronte, dal deserto al mare, nel paese che
    sarà poi detto Siria, erano stabilite in gran numero le tribù
    semitiche, che degli antichi abitatori avevano lasciato sussistere radi gruppi
    sui monti.

    Al sud della Libia erano i Therachiti; a sinistra del Giordano, sul vasto
    altopiano declinante al deserto arabo gli Ammoniti, i Moabiti e alcune tribù
    d'Israel, di cui il gruppo principale è ancora poco importante nel
    paese di Palestina, dal Giordano declinante sul mare. Gli Edomiti, gli Amaleciti,
    verso il mar Rosso, erano gli avanzi dei Shasu antichi: da settentrione a
    mezzogiorno s'intrecciava agli altri il popolo numeroso e potente dei Cananei,
    con le tribù degli Hiviti, abitatori delle alte valli del Giordano
    e del Nazana, dei Girgasei, ad oriente del fiume, degli Amorrei raggruppati
    in forti regni attorno a lebus (Gerusalemme), a Qodshu, (Kadesh. a Kreshbon.
    Lungo le coste era stanziato il popolo di Punt o Puni.



    Se questo gran numero di popoli autonomi rese più facile la conquista,
    fu però insieme una delle cause della debolezza di questa. L'assimilazione
    non si potè effettuare mai : il re d'Egitto era costretto ad accontentarsi
    di dichiarazioni di fedeltà e di affezione, da parte dei re di quei
    luoghi, e di determinati tributi. Di tanto in tanto, qualche principe rompeva
    i patti, tentava di sollevare in favor suo i popoli circostanti : quindi nuovo
    intervento militare, nuova sottomissione, nuovi patti, nuovi giuramenti. Una
    rivolta annientava tutta l'opera compiuta dagli Egizi e costringeva a ricominciar
    da capo. Troviamo che la maggior parte dei combattimenti prendono nome da
    Magidi, o Mageddo, e da Qudshu, le due città forti del paese: da quella
    i popoli della Siria tentavano la prima resistenza; ricacciati indietro -
    Magidi era sul Giordano e Qodshu sul Tigri - ritentavano da qui la fortuna.



    Queste furono le condizioni in cui si trovarono a reggere l'Egitto i tre Tutmosi
    o Thotmes, il I, il II, il III. Tutmosi III fu certamente il più grande
    dei faraoni conquistatori, e sotto di lui l'Egitto giunse all'apogeo. Gli
    successero Tutmosi IV e Amenhotpu III, che, come quasi tutti i re antecedenti,
    fecero costruire monumenti enormi e restaurare gli antichissimi. Templi con
    vaste sale, cinti da peristili grandiosi, cui s'accedeva per lunghi viali
    fiancheggiati da sfingi, e con grandi porte dai piloni istoriati, sorsero
    in tutto l'Egitto e specialmente a Tebe. Qui Amenhotpu III iniziò la
    costruzione del famoso tempio di Ammon, ed eresse due gigantesche statue,
    una delle quali, spezzata più tardi, divenne poi Greci il famoso colosso
    di Memnone, il quale, al sorger del sole, mandava suoni armo
    niosi
    (forse per il rapido succedere del caldo diurno al freddo della notte.



    Dopo Amenhotpu IV, re effeminato, che si diede quasi esclusivamente alle pratiche
    religiose e volle far trionfare il culto del sole, la XVIII dinastia andò
    svigorendosi e si estinse in una serie di piccoli re che vennero fiaccati
    nelle guerre civili e lasciarono che si staccassero successivamente dall'Egitto
    tutte le conquiste dei loro padri.

    Ma sorse la XIX dinastia, nella quale Ramsete I, suo figlio Seti e suo nipote
    Ramsete II il Grande, o Sesostri, furono re gloriosissimi. In realtà
    assai meno gloriosi, però, di quanto si credette secondo la tradizione
    d'Erodoto, e certamente meno dei re della XVIII dinastia. Seti e Ramsete II
    non fecero infatti che guerre difensive, e conservarono le conquiste dei Tutmosi
    e degli Amenotpu, senza accrescerne il numero. Le loro lotte più accanite
    furono combattute in Siria contro i Khiti, che avevano soltanto allora acquistata
    la supremazia su tutte le altre popolazioni, e dominavano da Kadeh fino a
    Karkemis.



    Ramsete Il fu, giovanissimo, chiamato dal padre a condividere il potere e
    s'acquistò molta fama sui campi di battaglia, benchè risultino
    immaginarie le spedizioni al Danubio e ai mari delle Indie, che gli vengono
    attribuite da Erodoto.

    La maggiore e la più autentica gloria di questo re rimane quella di
    avere arricchita di monumenti la valle del Nilo. In ogni città egli
    fece costruire templi al dio locale, riedificò Tanis, l'antica capitale
    dei re pastori e, sopratutto in Tebe, lasciò grandi segni della sua
    potenza edificatrice. Il Ramesseum è opera sua; suo è il completamento
    del tempio d'Ammone che Amenhoptu Il aveva iniziato; suoi i due celebri obelischi
    che vi si ammiravano; del suo regno è la famosa sala ipostila sorretta
    da centotrentaquattro colonne. Non solo: ma nella Siria si trovano ancora
    monoliti grandiosi che portano il suo nome, e in Nubia sono sue le enormi
    colonne di venti metri d'altezza che adornano l'entrata del tempio sotterraneo
    di Ipsambul.


    Ma
    il popolo schiacciato dal peso della guerra, affranto dalle fatiche delle
    costruzioni, scoppiava in rivolte sanguinose. Gli stessi schiavi seviziati
    trovavano nell'eccesso dei loro mali l'energia della ribellione: i libri d'Israello
    risuonano di lamenti e di imprecazioni violente contro il gran re. E lo sfacelo,
    inevitabile, avvenne sotto il figlio suo Minephtah, succeduto sessantenne
    al padre. Approfittando della debolezza interiore, Siculi, Achei, Sardi, Lici,
    Tirreni con una grande flottiglia si avanzarono nel Delta, dove però
    toccarono sconfitte gravi. Ma l'autorità regia essendo indebolita,
    pullulavano nell'Egitto numerosi staterelli, a capo dei quali con titolo regio
    si posero alti funzionari dello Stato e pretendenti delle estinte dinastie.
    È, in questo tempo di anarchia che a torme gli schiavi semiti moltiplicatisi,
    gli Israeliti, gli losefiti, gli lehuditi abbandonano la terra d'Egitto, il
    Goshen lungamente abitato, ed esulano verso il Sinai. È l'Esodo famoso
    che la tradizione fa guidare da Mosè.



    Un Siro, lrisu, fra tanta confusione s'impadronì del potere. Ma lo
    tenne poco tempo perchè Nakhtsiti, discendente di Ramsete lI, fondatore
    della XX dinastia, gli s'oppose risolutamente e lo spodestò.

    Suo figlio, Ramsete III, salito al trono nel 1311 a. C., è l'ultimo
    gran faraone di Egitto: nei suoi trentadue anni di regno lottò contro
    i Shasu del deserto, contro i Libi, contro le solite federazioni siriache.
    Facevano parte dell'esercito confederato Danai, Tirreni, Ioni, Siculi, Sardi,
    Lici, Pelasgi, Cananei, Amorrei, Khíti. Battuti e respinti, questi
    popoli rivolsero la prora verso occidente e gli uni (Achei, Danai, Ioni, Pelasgi)
    occuparono, per cominciarvi una storia ben più gloriosa, le isole e
    le coste greche; altri (Siculi, Sardi) approdarono nelle isole italiche che
    portano ancora oggi nel nome impressa la loro memoria, e altri ancora, i Tirreni,
    fondarono nel continente nostro una civiltà famosa (Etrusca).


    Cinque
    re Ramsete (IV-VIII) e un Miamun-Miritum si succedettero rapidamente. L'impero
    del Nilo, vecchio ormai di più di quaranta secoli di storia, si andava
    esaurendo, incalzato da popoli giovani e turbolenti che volevano la loro parte
    di ricchezza e di fama. Influenze straniere - libiche, etiopiche, semitiche
    - lo pervadevano, nei costumi, nelle idee, nella lingua, nella religione;
    schiavi, affrancati, stranieri cominciavano a occupare le alte cariche, la
    preponderanza sacerdotale cresceva.



    Allora si vide l'impero diviso in due. Un gran sacerdote d'Ammone, Herhor,
    prese nell'Egitto il titolo di re, e i suoi discendenti si sforzarono di conservare
    il potere mentre una XXI dinastia, stabilita nel Delta, disputava loro il
    Basso Egitto. Tebe diventò la capitale dell'autorità religiosa.
    Però la stirpe dei grandi sacerdoti d'Ammone non riuscì nel
    suo tentativo d'usurpazione, ma si ritirò in Etiopia e vi fondò
    un regno che ebbe Napata per capitale, e che essa strappò all'unità
    d'Egitto.

    La XXII dinastia, che s'è intanto stabilita nel Delta, vi soggiorna,
    e vi edifica od amplia nuove città Tanis, Bubaste, Sais. Tebe è
    definitivamente abbandonata, e l'opera della sua lenta distruzione incomincia.
    I secoli che si succedono non fanno al
    tro
    che aggiungere a tanti morti, splendori, il mistero del silenzio e della rovina
    e i resti grandiosi dell'antichissima città eccitano ancor oggi la
    curiosità appassionata dello storico e del viaggiatore.



    Con la XXII dinastia, bubastica, che ebbe a capo Shashonqu I, o Sheshonk,
    siro d'origine, crebbe nel Delta l'influenza semitica, mentre appunto si sfasciava
    la compagine d'Israele. Gerusalemme fu saccheggiata dagli Egizi; i tesori
    di Salomone ornarono la reggia faraonica. Dopo Shashonqu nessun re ebbe più
    ardire di rivendicare l'antica supremazia sulle province bagnate dall'Oronte
    e dal Giordano e l'istmo pelusiaco ridivenne confine dell'impero. Per impedire
    una nuova usurpazione sacerdotale e per tenere i sudditi più soggetti,
    i sovrani bubastici iniziarono il sistema di distribuire le più alte
    cariche ai loro parenti o d'appoggiarsi alle milizie straniere, di libi, di
    etiopi. Ma in tal modo si fini col creare tanti principati a beneficio dei
    rami cadetti e collaterali del Faraone, che si resero a poco a poco indipendenti
    dall'autorità centrale, assumendo anche il titolo regio.



    Con la XXIV dinastia parve l'Egitto risorgere tant'era stata l'ignavia dei
    nove re bubastici della XXIII dinastia, tanita. Tafnakt, signore dapprima
    della piccola città di Nutir, s'impadronì di tutte le fortezze
    dove si trinceravano i capi indipendenti dei nomi del Delta e costrinse
    gli altri principi a riconoscerlo come re. Egli fu il fondatore della XXIV
    dinastia, saitica. I principi spodestati invocarono l'aiuto dei re sacerdoti
    di Navata. Pisuki-Miamun, che allora regnava, discese il Nilo, affondò
    la flottiglia avversaria, e sottomise l'Egitto fino a Menfi e quindi tutto
    il Delta: Tafnakt, battuto, si ritirò nella città di Sais. Pisuki
    fu riconosciuto re della valle nilotica: l'etiopica Napata prevalse sulle
    più gloriose capitali della civiltà, su Tebe, su Abido, su Menfi.


    Il figlio di Tafnakt, Bokenranf, riuscì a sottrarsi al giogo del nuovo
    re nubiano Kashto, ma per breve tempo, chè Shabaku, o Sabacone, figlio
    di Kashto, sceso in Egitto, lo sconfisse in Sais e lo bruciò come ribelle.
    Così l'Etiopia potè imporre una intera dinastia, la XXV, all'Egitto.



    Inorgoglito dal successo, Sabaku concepì il pensiero di ristabilire
    la dominazione faraonica nell'Assiria. Appoggiandosi a tutti i nemici di Shalmanushshur
    e di Sharukin che gli succedette, al re di Israele, a quello di Tiro, a quello
    di Damasco, tentò di riuscire nel suo intento, ma a Raphia in Assiria
    ebbe da Sharukin tale sconfitta che si salvò a stento. I principi del
    Delta approfittarono della sua debolezza per sollevarsi, sicché, quando
    morì, Shabaku lasciò al figlio, oltre all'Etiopia, solo Tebe
    coi nomi vicini, in mezzo a venti altri principati sorti sulle rovine del
    regno ch'era stato suo, e l'eredità letale di una lotta contro la terribile
    potenza assira. Un successore di Sharukin, Sinakheirba (Sennacheribbo) s'inoltrò
    fino a Pelusio e avrebbe facilmente sconfitto il re del Delta, abbandonato
    dai suoi stessi capi militari, se un avvenimento, che parve miracoloso, non
    l'avesse costretto a ritirarsi: una miriade di topi, narra la tradizione,
    invase l'accampamento assiro, rosicchiò tutte le corde degli archi
    e gli oggetti di cuoio, disarmando in tal guisa l'esercito.

    Le divisioni che desolavano la valle del Nilo ne resero però facile
    la conquista ai successori, i quali l'attraversarono da vincitori. Tebe subì
    due volte il saccheggio, da parte di quei barbari.



    Psamitik o Psammetico I, fondatore della XXVI dinastia, discendente dai re
    di Sais, riuscì a ricacciare nell'Etiopia i re di Napata, prepotenti,
    e a sconfiggere quei piccoli sovrani indigeni che si erano divisa la valle
    del Nilo; restituì la tranquillità alle città e alle
    campagne, attese ai pubblici lavori necessari alla prosperità del paese;
    restaurò
    i templi, protesse le arti e i commerci. Il suo regno (651-611) segna un periodo
    di vera rinascenza politica, artistica, intellettuale.

    Approfittando del decadimento dell'Assiria, egli aveva occupato il paese dei
    Filistei e sarebbe andato più oltre, se il favore da lui concesso a
    mercenari greci non avesse mosso i soldati egizi a sdegno, al punto che emigrarono
    in Etiopia, dal re di Napata. Cosicchè
    Psamitik
    dovette quindi rifar da capo l'esercito
    e ristabilire su salde basi il suo potere per lasciarlo forte e ben organizzato
    al figlio, Niko o Necho I. Questi ebbe il genio e il volere degli antichi
    faraoni, ma non fu assecondato dalla nazione sfinita e sopraffatta da influenze
    straniere. Creatasi una flotta nel 608, entrò nell'Assiria, dove combattè
    contro ii re di Giuda, che sconfisse sotto Magidi. Gli Egizi proseguirono
    trionfalmente fino a Qodshu, fino all'Eufrate.



    Necho
    fu l'iniziatore di un grande progetto: scavare un canale che unisse il mar
    Rosso al Mediterraneo, ritentando con ciò un progetto già formato
    da Seti I, il capo della XIX dinastia. L'opera era troppo colossale, e
    Necho
    si arrestò, dopo avervi, a quanto si dice, fatto perire centoventimila
    operai.

    Una delle sue imprese, non meno straordinaria, riuscì meglio. Egli
    fece eseguire il primo periplo intorno al continente africano, e i suoi marinai
    partiti dal mar Rosso, vi ritornarono passando per le colonne d'Ercole. Ma
    questo regno sì sfarzoso finì male. Battuto da Nabucodonosor,
    Necho
    dovette abbandonare le sue conquiste in Assiria.



    Un'ultima epoca di prosperità era ancora riservata all'Egitto. Ahmosi
    II, o Amasis, uomo di bassa estrazione che una rivolta aveva collocato sul
    trono, diede alla valle del Nilo i suoi ultimi giorni di grandezza e di gloria
    politica. Parvero così belli quegli ultimi giorni all'Egitto, dopo
    tanto accasciamento e le avversità sofferte, che cancellarono quasi
    dalla sua memoria gli antichi secoli di gloria. Erodoto, giudicandone, come
    sempre, da ciò che gli raccontavano i sacerdoti, dichiara che "giammai
    l'Egitto fu più fiorente e più prospero che sotto il regno d'Amasis
    ».



    Se il greco aveva ragione particolare di lodarlo, perchè egli consentì
    che gli Elleni, gli impuri, fondassero sul fiume sacro una loro città,
    Naucratis. vivace del cinguettio e della coltura dei Greculi, e mandò
    grandi doni ai templi dell'Ellade per prepararsi alleanze, non per questo
    la lode tributata ad Ahmos può ritenersi partigiana. Egli ristabilì
    la supremazia egizia su Cipro (Asi); all'interno restaurò gli antichi
    edifici, ornò Menfi d'un tempio d'Iside, a Sais circondò il
    tempio di Keith di magnifici propilei, ai quali si giungeva fra una duplice
    schiera d'enormi sfingi.



    La pace che, vivente Ciro, egli era riuscito a conservare con i Persiani fu
    rotta quando Cambise salì al trono. Questo re, avido di conquista,
    s'avviò contro l'Egitto per costringere il re a sottomettersi. Gli
    Egizi nutrivano speranza che gli invasori perissero nel deserto precedente
    l'istmo: un condottiero greco, Fanete d'Alicarnasso, che aveva disertato le
    file dei Faraoni, suggerì ai Persiani, d'accordarsi con il capo arabo
    del luogo e di comprare da lui il passaggio e le vettovaglie a peso d'oro,
    sì che essi giunsero fino a Pelusio senza trovare ostacoli. In quei
    giorni l'ultimo grande sovrano d'Egitto morì: il figlio Psammetico
    III, abbandonato dal tiranno di Cipro e da quello di Samo, non seguito dall'entusiasmo
    del popolo terrorizzato da fenomeni naturali reputati di malaugurio, combattè
    tuttavia eroicamente. Ma dovette battere in ritirata disastrosamente, attraverso
    i canali del Delta : l'ultima sua resistenza a Menfi fu fiaccata. Nel 527
    a. C. la valle del Nilo era ridotta in servità.

    Cambise trattò con onore Psammetico, lasciandogli esercitare il governo
    in suo nome, ma avendo questi tramato contro di lui, lo mise a morte e diede
    il paese da reggere a un satrapo, Aryadne.



    Nei molti anni di vita servile che visse ancora. l'Egitto mostrò quanto
    salda e tenace fosse la sua razza e quanto la sua civiltà fosse assorbente.
    Nei 193 anni di insediamento, i persiani adottarono gli dèi, gli usi,
    le arti dei vinti; da Alessandro a Cleopatra, durante la lunga dominazione
    greca lo sviluppo della civiltà nuova - sorta dal connubio dell'ellenica
    e dell'egizia - fu meraviglioso, e mirabile fu l'influsso d'idee, d'abitudini
    che l'Egitto fece poi subire ai Romani per quattrocento anni.



    Certo la decadenza della civiltà egizia fu preparata da due o tre secoli
    d'anarchia e dall'invasione progressiva dell'influenza cristiana, ma gli dèi,
    la lingua e le arti vivevano ancora. Essi scomparvero violentemente l'anno
    389 dell'èra nostra, allorchè l'imperatore Teodosio, per facilitare
    la propagazione della religione cristiana, ordinò di distruggere tutti
    i templi d'Egitto. Monumenti che erano sfuggiti a cinque mila anni di lotte
    e invasioni, perirono in nome d'un dio nuovo, di quelli giganteschi ne rimasero
    in piedi i pochi avanzi che i propagatori della nuova fede non riuscirono
    a distruggere, limitandosi a martellare sulle mura indistruttibili le immagini
    degli antichi dèi.



    Cinquemila anni di civiltà svanivano e nel tempo stesso che gli dei
    venivano proscritti, i templi rovesciati, le scuole chiuse, i sacerdoti e
    i dotti dispersi, andava dimenticata la lingua egizia, a tal punto che, per
    quattordici secoli, il significato dei geroglifici andò totalmente
    perduto. La dominazione cristiana degl'imperatori d'Oriente durò 250
    anni, e fu pur l'Egitto un periodo di notte buia.





    LA
    RELIGIONE.

    - Fondamento della religione dell'antico Egitto era il culto del Sole, Ra,
    l'Elios dei Greci, il capo degli dèi, simbolicamente raffigurato con
    teste d'animali (montone, sparviero, ibis, vacca) su corpi umani. Si distinguono
    quindi varie categorie di dèi: dèi del cielo, della terra, del
    Nilo, delle acque, degli astri e dei morti. Ciò non avveniva però
    in modo assoluto, onde un dio poteva appartenere contemporaneamente a più
    classi diverse e rivestiva pure forme diverse: o di animali o di uomini o
    di vegetali o di natura mista, e talora anche di oggetti naturali o di cose
    fabbricate dall'uomo, come una freccia, una mazza, una piuma, un coltello.

    Tutte le divinità erano ritenute superiori all'uomo per qualità
    fisiche, psichiche, intellettuali, ma soggiacevano alle stesse passioni, malattie
    e miserie degli uomini, all'odio, all'amore, alle lotte, alle ferite, alla
    morte, salvo a prolungar la loro vita indefinitamente, rinnovandola col potere
    dei talismani e della magia. Esse reggevano il mondo e la vita e qualcuna
    aveva anche potere superiore sulle altre. Così Ra, il sole; Ftah, dio
    della luce; Osiride, signore della vita; Iside, la madre terra fecondata ogni
    anno da Osiride; Tifone, il dio rosso, il calore disseccante, a cui Osiride
    soggiace, finchè Oro o Horus, lo sparviere, l'inondazione, lo ridesti
    a nuova vita. E questi si dividevano fra loro i territori e la popolazione.
    Il culto degli dèi si sviluppò storicamente, così che
    il dio particolare d'ogni singola sede diveniva per un determinato periodo
    il capo di tutti gli dèi. Così fu di Ammone, il dio di Tebe,
    quando erano di Tebe i Faraoni regnanti; di Ftah, il dio di Menfi; di Osiride,
    il dio di Tais e di Abido; del greco Serapide, il dio di Alessandria. Si mantenevano
    e adoravano nei principali centri del culto certi animali, come per esempio,
    Api, il toro, a Menfi.



    Talora l'unicità del dio si divideva in due gemelli maschi, come Anurit-Shu
    a Thini, o maschio e femmina, come Shu-Tafnuît a Eliopoli. Gli dèi
    avevano ciascuno la propria famiglia, ordinariamente composta di un dio, di
    una dèa e del loro figlio. Così Ftah e Sochit e il loro figlio
    Imhotpu a Menfi. Tutte queste triadi, di cui ognuna aveva un suo proprio culto
    in un dato territorio, finirono per confondersi in se stesse: i figli, procedendo
    dai genitori, ed essendo per ciò di egual natura di questi, furono
    ritenuti pur eguali a questi: quindi, invece di costituire tre forme distinte,
    si riunivano in una sola identica divinità. Questo dio in tre persone,
    o meglio la figura principale della triade, era chiamato il dio, uno o unico,
    come il dio Ammone a Tebe, e il dio Ftah a Menfi. Ciascun «dio unico»
    rimaneva però il dio supremo di quel territorio, di quella città,
    non un dio nazionale riconosciuto e adorato da tutto il paese.



    Nella più remota antichità, prima ancora di Menes, la scuola
    teologica di Eliopoli, la più antica dell'Egitto, aveva tentato di
    riunire i principali dèi in un sistema cosmogonico, che spiegasse l'origine
    e la esistenza del mondo. Aveva messo a capo di tutti Ra, il sole, e intorno
    gli aveva aggruppato otto fra dei e dee, come suoi discendenti. Ne risultò
    un'ennéade, conosciuta per mezzo dei monumenti col nome di ennèade
    di Eliopoli.
    La stessa scuola collocò poi in due altre enneadi
    le divinità minori, geni piuttosto che dei, quelli che regolavano la
    creazione e il destino dei morti. Gli altri territori (nomi) accettarono
    la riforma della scuola di Eliopoli, sostituendo a Ra ciascuno il proprio
    dio principale: Ammone a Tebe, Ftah a Menfi, ecc. Così vi furono tante
    enneadi locali quante circoscrizioni territoriali contava l'Egitto. Questi
    dei vegliavano sui morti e sui vivi.



    In origine, ciascun territorio aveva il suo dio dei morti, che non era altri
    che il dio supremo del luogo, passato dalla vita alla morte, il quale accoglieva
    i suoi soggetti defunti in un inferno o in un paradiso, dove potevano entrare
    essi soli, non cioè i morti dei territori vicini. In seguito, col diffondersi
    della leggenda di Osiride e di Situ, tutto l'Egitto riconobbe Osiride come
    il dio dei morti, e il dominio suo (i « prati di lalu ») come
    soggiorno di questi, mentre i nomi degli dei e degli inferni locali furono
    associati alle località e ai personaggi del mito osirico. Così
    Ftah come dio dei morti fu chiamato Sokar-Osiride o Ftah-Sokarg-Osiride.

    Il popolo egizio era così familiarizzato con l'idea della morte che
    la vita gli appariva come una aspettativa di quella. L'idea della morte, come
    la concepivano gli Egiziani, non aveva del resto nulla di terribile e di ripugnante.
    Essa li spaventava tanto poco che si compiacevano di conservare nella loro
    casa le mummie dei loro morti, per lunghi mesi, prima di chiuderle definitivamente
    nella tomba. Riservavano a una mummia il posto d'onore in un banchetto, senza
    che la presenza di questa, muto commensale, dalle pupille fisse e dal viso
    colorito che nascondeva la faccia sinistra del cadavere, raffreddasse pure
    in minimo grado la gaiezza del banchetto.



    La concezione della vita ultraterrena variò, del resto, in Egitto,
    da epoca ad epoca. Generalmente la sopravvivenza umana era immaginata in forme
    diverse: come un "doppio", come un insetto o un uccello (gru o sparviero),
    come un'ombra nera, come uno spettro luminoso. Si credeva che questo essere
    sopravvivente si mettesse a giacer nella tomba col corpo che aveva animato
    in vita, o lo lasciasse per andare a raggiungere il paradiso del suo dio.
    Come gli era stato attaccato in vita, così lo era in morte, e non se
    ne distaccava se non quando il corpo era decomposto.



    Da quest'idea di continuazione dell'individualità, di là dalla
    tomba derivò necessariamente la conservazione dei cadaveri, l'imbalsamazione,
    la mummificazione, spinta dagli Egiziani a un grado di perfezione che nessun
    altro popolo raggiunse, e derivò pure il bisogno di nasconder le salme
    mummificate in luoghi sicuri entro camere scavate nella roccia o, trattandosi
    di re, principi o dignitari, negli ipogei, dentro le piramidi colossali. E,
    siccome la mummia non era indistruttibile e, disfacendosi, si distruggeva
    con essa anche l'anima, si collocavano dentro le tombe statue di pietra o
    di legno raffiguranti il morto, che potevano eventualmente servir di sostegno
    e di aiuto al "doppio" sopravvivente. Quante più statue si
    mettevano dentro le tombe tanto maggiori possibilità aveva il «
    doppio » di perpetuare la sua esistenza ultreterrena. D'altro lato,
    l'egiziano credeva fermamente a un perfezionamento graduale dello spirito,
    operato durante cicli di tempo d'una lunghezza immensa. L'intervallo fra la
    nascita e la morte non era nulla accanto alla vita anteriore e futura dell'essere
    umano. L'anima si presentava dopo la morte a un tribunale divino ed errava
    per secoli e secoli soggetta a mille prove, prima di gustare la gloria del
    cielo o di piombare nel nulla.



    Il Libro dei morti contiene previste appunto tutte le prove che l'anima deve
    attraversare prima di essere assimilata agli dei, tutti i magici incantesimi,
    tutte le preghiere miracolose, tutte le litanie ch'essa deve pronunciare per
    trionfar dello spirito del male, e per far si che si aprano le venti porte
    della casa d'Osiride.



    LETTERATURA,
    SCIENZE E INDUSTRIE.

    - Gli antichi Egizi ebbero come espressione grafica del pensiero, per i loro
    bisogni e rapporti epistolari quotidiani, per le loro iscrizioni, i geroglifici,
    a base di figurazioni e di ideogrammi. E fin dai primordi della sua storia
    l'Egitto ebbe collezioni di opere scritte, che divennero innumerevoli sotto
    la XII dinastia (l'età aurea) e sotto la XVIII e la XIX (l'età
    argentea): libri religiosi, poemi, annali, storie, trattati morali e giudiziari,
    raccolte epistolari, romanzi. Vero è che la letteratura egiziana e
    di una desolante freddezza, così da sembrare il più spesso,
    esercitazione di scribi, di retori, senza idee chiare e vigorose, senza sentimenti
    forti e decisivi, quasi un ingegnoso accozzamento di parole. I libri egizi
    più antichi sono quelli del papiro Prisse, la morale di Kaquimma e
    gli avvertimenti di Ftahoptu, raccolte di precetti utilitari per ben vivere
    e ben prosperare. Li segue appresso, superandoli nella diffusione, il Libro
    dei morti, il cui vero titolo e : « Il libro dell'uscita alla luce »,
    espressione efficace dell'idea che gli Egiziani si facevano della morte. Più
    che dal punto di vista letterario, questo libro, composto di inni, preghiere,
    scongiuri, considerazioni di indole svariatissima, e importante per quanto
    c'insegna circa le idee religiose degli Egizi.



    Di tipo analogo sono altre opere, rinvenute nelle tombe: Le lamentazioni d'
    Iside e di Nebthal, il Libro di ciò che vi è nell'emisfero inferiore;
    il Libro di ciò che vi è nell'emisfero superiore, (descrizioni,
    queste due ultime, del viaggio del Sole: la notte e il giorno), ecc. Il documento
    poetico più importante che vanti l'Egitto e il poema epico di Pentar
    (dell'età di Ramsete li), che canta, in uno stile potente, uno degli
    episodi più salienti della guerra contro gli Ittiti : i marmi dei templi
    di Luxor, di Karnak, di lpsambul, e i papiri ce l'hanno conservato integralmente.
    Pochi e freddi i frammenti lirici che si conoscono; d'importanza maggiore,
    quantunque non eccellano per concezione le opere storiche (Memorie di Sineh;
    In qual modo Thutii prese la città di loppe, e altre). Interessantissime
    alcune novelle, pitture dei facili costumi, degli amori libertini, fra le
    quali il racconto dell'avventura di Stui, il figlio del re, e di Tbubui, la
    figlia del gran sacerdote di Bubaste.



    Ma una delle forme letterarie predilette dell'egiziano antico era l'epistolografia.
    Si hanno lettere sopra ogni sorta di argomenti, di padre a figlio, di maestro
    a discepolo, di scriba a scriba, di legato a re. Le Istruzioni di Amenemhat,
    il fondatore della XII dinastia, al figlio Nsetten, si orientano appunto nell'orbita
    di tale forma letteraria.



    Le nostre cognizioni intorno al sapere scientifico degli Egizi sono limitate,
    come gli avanzi dei loro trattati di tal genere. Certo e però che,
    se consideriamo quelle opere che dovettero essere l'applicazione delle loro
    conoscenze teoretiche, troviamo ch'essi dovettero possedere una cultura, un
    sapere scientifico superiore. In fatto d'ingegneria idraulica, sappiamo che
    costruirono canali e laghi artificiali, opere mirabili; in fatto di geometria
    e di architettura, che sapevano pur valutare la superficie della Terra e costruire
    edifici come le Piramidi; in proposito delle loro loro idee astronomiche,
    ci e noto che essi sapevano orientarsi esattamente, calcolare la durata dell'anno,
    ecc.; in fatto di chimica, sappiamo che usavano i mordenti e risolvevano gli
    ossidi.

    Afferma Diodoro Siculo non esservi stato al suo tempo altro paese in cui l'ordine
    e il moto degli astri fossero osservati con maggior esattezza che nell'Egitto.
    Ivi infine (e questo ci dicono le più recenti scoperte) si conoscevano
    e si praticavano altresì la medicina, la farmacia, la ginecologia,
    la veterinaria, scienze che avevano i loro trattati e ricettari relativi.



    L'industria vi aveva pur essa un magnifico sviluppo. Dai monumenti coevi alla
    IV dinastia si apprende che l'Egitto possedeva già fin da quel tempo
    arnesi agricoli, industriali e militari assai perfezionati, che si serviva
    di tutti gli animali domestici che noi conosciamo, e coltivava la vite, i
    cereali, i legumi; fabbricava il vetro, fondeva, lavorava e cesellava i metalli,
    possedeva vere manifatture di stoffe e di tessuti d'ogni sorta, di terre smaltate,
    di stoviglie grossolane e fini. Gli Egizi sapevano batter l'oro in lamine
    così sottili da ornare le incisioni dei papiri, e filarlo così
    fino da poter usarne nei ricami. Anelli, spille, braccialetti gareggiano poi
    di perfezione coi lavori di oreficeria dei nostri giorni. E prodigiosa era
    la loro abilità nella fabbricazione delle pietre false, ottenute colorando
    il vetro con ossidi metallici.



    Quanto progredite fossero presso quel popolo l'arte dell'ebanisteria e tutte
    le arti decorative, ce lo attesta la sontuosità delle abitazioni private,
    dei mobili di legno prezioso, lavorati a tarsia, dipinti, dorati. Industria
    molto estesa e lucrosa era certamente quella della fabbricazione del papiro;
    industrie minori diffusissime, quelle della fabbricazione dei profumi, delle
    pomate, degli unguenti, delle tinture, dei fiori artificiali, e così
    via.



    LE ARTI.

    - Non meno della letteratura fiorivano in Egitto le arti plastiche : la scultura
    e la pittura monumentali o applicate all'industria, e specialmente l'architettura,
    che sulle rive del Nilo esplica i primi segni, lascia le prime tracce di attività
    artistica. La storia dell'architettura egiziana abbraccia molti periodi. Da
    principio, presso ciascuna città si aprivano catacombe, ch'erano lunghi
    corridoi facenti capo a sale vastissime, sostenute da pilastri massicci. Quando
    i nuovi sovrani trasportarono la sede del governo a Menfi, fecero elevare
    con grandi spese montagne artificiali, perchè servissero loro da tomba,
    come le montagne scavate avevano servito ai loro predecessori. Tale è
    l'origine delle Piramidi. In ciascuna di esse era serbato uno spazio sufficiente
    per ricevere il corpo del re e quelli della famiglia reale.

    La costruzione delle Piramidi consisteva in piani disposti in forma di terrazze
    elevantisi ad angolo retto per terminare in forma piramidale. I materiali
    impiegati in questi imponenti edifici sono generalmente pietre, qualche volta
    mattoni. Alle tre principali Piramidi abbiamo già accennato.

    Un secondo periodo di gloria dopo l'antico incomincia, verso l'anno 3000 a.
    Cr., col Medio Impero. Esso e segnalato dall'imponente obelisco del re Sefurtisen
    I, a Eliopoli, monumento interessante, poichè rappresenta le prime
    tendenze verso forme architettoniche più caratteristiche. Infatti si
    trova che il pilastro unito tende a prendere una forma geometrica, che, elevandosi
    da una base quadrangolare, va diminuendo verso l'alto e termina col cono piramidale.
    Si riscontra già a quest'epoca l'edificio a colonne (tomba di Beni-Hassan).



    Tra il secolo XVI e il XII a. Cr. l'architettura arriva al più splendido
    periodo nella costruzione dei templi. Un vasto recinto murale, coronato da
    una cornice potente, dà all'insieme un carattere imponente e misterioso.
    Nessuna finestra nel colonnato; ma iscrizioni misteriose variopinte, figure
    di divinità e di sovrani coprono i muri come un gigantesco tappeto.
    Piloni di forma piramidale e obelischi indicano l'entrata, alla quale spesso
    conduce un'anticorte a cielo aperto, circondata da gallerie riparate. In seguito
    si incontra una sala più vasta, il cui soffitto e posto sopra colonne
    aventi più di 20 metri d'altezza. Da questa sala si passa al santuario,
    che comprende camere di diversa grandezza, e la cui parte remota si compone
    di celle strette, basse, oscure. Colà la statua della divinità
    si trova immersa in un'ombra misteriosa. Tutta la superficie dei muri, il
    soffitto e le colonne sono rivestiti di disegni, i cui colori vivi e l'arduo
    simbolismo accrescono l'imponenza di questi monumenti.

    Oltre ai templi sono architettonicamente notevoli le tombe dei re e delle
    regine della dinastia tebana, situate dentro caverne. Un labirinto, formato
    di strette gallerie, conduce da un'anticorte alla camera sepolcrale chiamata
    a "sala d'oro". I muri sono coperti di dipinti che rappresentano
    le principali azioni della vita del principe; in mezzo s'innalza il sarcofago.
    Altri notevoli monumenti s'incontrano nella parte meridionale dell'Egitto,
    specialmente nella Nubia: per es.. il tempio che si trova nell'isola di Elefantina
    e il monumento di Ipsambul, con quattro colossi seduti, alti 65 piedi, immagini
    di Ramsete il Grande, il Sesostri dei Greci.



    L'ultimo periodo dell' architettura egiziana ha rapporto col regno dei Tolomei.
    Ricordiamo, come esempio, il tempio dell'isola di Zoleo. Fra i monumenti di
    quest'ultima epoca notiamo certi santuari che constano di una cella circondata
    da un colonnato. Ne esistono a File e a Denderah.

    La scultura e la pittura erano applicate all'architettura. Le figure che vi
    prevalgono, o sono accosciate in posa tranquilla, guardanti oggi all'immensità
    del deserto (tali le sfingi) ovvero appaiono in atto di rigido postura. La
    statuaria però, sia in bronzo che in pietra tenera o dura o granito
    nero, in terracotta o in legno, è ricchissima: uomini, animali divinità,
    idoli spesso con teste animalesche, secondo i miti locali; o scene di vita
    quotidiana, di guerra, di oltretomba, in bassorilievi finemente eseguiti,
    ma senza prospettiva. Gli occhi sono talvolta di cristallo o di smalto nero,
    i cui riflessi e trasparenze dànno alle figure una singolare, intensa
    espressione di vita. La più antica scuola di scultura è la menfita,
    ed e quella che ha opere ispirate più direttamente dalla natura, più
    espressive e perfette come lo Scriba del Louvre, le Statue regali del museo
    di Ghizeh, tutti veri e propri capolavori scultori, per la verità del
    gesto e l'espressione dei visi.

    Le statue dei primo impero tebano son già meno originali, più
    compassate e più rigide. La seconda epoca tebana si distingue per due
    tendenze opposte : l'una tutta grazia e finezza, come si può vedere
    nelle statue di Amenote I, della regina Atsopsitu, di Tutmosi III, nei bassorilievi
    dei templi di Luxor, ecc.; l'altra piena di vigore e grandiosità esagerata,
    quali si notano nelle gigantesche sfingi, nelle enormi statue monolitiche,
    nei colossi di Amenote III, di Memnone, di Ramsete II a Tanis, a Tebe, a Ipsambul.
    Poi l'arte scultoria decade sensibilmente: le figure sono uniformi, convenzionali,
    prive di vita e di espressione. L'epoca saitica segna un rinascimento nel
    campo della scultura, e riprende le tradizioni menfite, sebbene con imitazione
    troppo arida e manifesta. Tebe allora produce la statua in alabastro della
    regina Amenerta e la Tueri in serpentino verde del museo di Ghizeh. Coi Tolomei
    l'arte egizia si ammollisce e si fiacca per l'infiltrazione dell'arte greca
    e poi sorge una scuola che, pur non rinunciando alle tradizioni faraoniche,
    subisce in tutto l'influsso greco e diviene imitatrice.

    Dal secolo II dell'èra nostra non abbiamo che opere manierate e goffe.
    La scultura egiziana e l'architettura muoiono insieme, sul principio del secolo
    III, al primo diffondersi del cristianesimo. La pittura egiziana non si afferma,
    non sta a se indipendentemente, ma proviene dall'architettura. Nondimeno è
    notevole il disegno, e così la purezza e l'ardimento della linea, tali
    da riprodurre chiaramente i tratti caratteristici dell'uomo e degli animali.
    Mancava l'idea esatta della prospettiva. La figura aveva gli occhi e il busto
    di prospetto e il rimanente d
    ella
    testa e del corpo invece erano di profilo. Nei quadri dei templi o degli ipogei
    i piani non erano proiettati su una superficie piana, gli uni dietro agli
    altri, ma stavano separati e sovrapposti. La fantasia degli Egiziani, scarsa
    in genere nelle arti maggiori, si spiega fecondamente nell'arte decorativa,
    dove in special modo sono vari e straordinari i motivi presi dalla flora.



    GLI SCAVI.

    - Da quando la celebre iscrizione trilingue della stele di Rosette veniva,
    nel 1822, decifrata dallo Champollion, l'egittologia, di cui questi e meritatamente
    considerato come il fondatore, ha compiuto un cammino meraviglioso. Da un
    lato si ebbero, nel vasto campo dell'epigrafia egiziana, quel fervore di studi,
    quell'indefessa e sapiente opera di decifrazione che tanta luce hanno proiettata
    sul mistero dell'Egitto antico, dai primordi della sua storia fino all'epoca
    alessandrina : dall'altro, l'attività delle missioni archeologiche,
    le quali sottoposero il suolo dell'Egitto a lungo esame, a serie, scrupolose,
    disciplinate indagini, costringendolo a darci i tesori che da secoli e secoli
    chiudeva nel grembo inesplorato. Lunga è la serie dei benemeriti e
    degli illustri: dal Lepsius, che verso la metà del secolo XVIII dava
    alla luce la sua grande opera sui Monumenti dell'Egitto e della Nubia, dal
    Maspero, che nel 1887 pubblicava la sua ammirabile Archéologie egyptienne,
    al Mariette, al Pétrie, al Beauregard, all'Ebers e a molti altri.

    Ma, mentre fin verso il 1890, l'orizzonte delle nostre cognizioni era limitato,
    si può dire, dalle Piramidi e dai monumenti dei re menfiti, nel successivo
    trentennio il progresso degli studi egittologi e stato veramente prodigioso.
    Nuova luce sulle prime dinastie faraoniche ci venne dagli scavi che misero
    a nudo i monumenti del periodo thinita, i quali, rivelando un Egitto anche
    più antico, ci avviarono a nuove scoperte riflettenti pur l'epoca che
    diremo prethinita o predinastica. Fu nell'estremità occidentale della
    metropoli di Abido, nella località detta Omn-el-Gaab, in mezzo ai frammenti
    d'una quantità di vasi in terracotta e in terra cruda, che Amélineau
    e Pétrie, dal 1895 al 1903, e successivamente Morgan a Neggadeh, Quibell
    a Kom-elAhmar, Garstany a Beit-Khallaf, Barsanti e Maspero a Sakkarah e Zauiet-el-Aryan,
    rinvennero nuovi documenti interessantissimi, che ci riconducono all'epoca
    dei primi Faraoni.



    Lo stato di quell'antica civiltà, la storia di quelle dinastie ci si
    mostrano ora con sufficiente chiarezza. Apprendiamo ch'era già divulgato
    l'uso dei metalli, oro, argento, bronzo, ma che si adoperavano pure contemporaneamente
    gli utensili di pietra e che il lavoro d'intaglio della selce aveva anzi raggiunto
    la perfezione. La costituzione civile e politica risulta eguale a quella dei
    tempi menfiti. La religione conta già una trentina di divinità.
    La tavoletta di avorio detta di Mini Menee ci mostra incise delle scene di
    riti funebri. La scrittura e a caratteri sillabici e a figurazioni ideografiche
    e le iscrizioni si decifrano facilmente al pari di quelle delle epoche posteriori.
    Si pervenne a conoscere le generazioni intermedie fra la VI e la XII dinastia,
    e nomi dimenticati di Faraoni si trovarono sui monumenti scoperti dell'epoca
    della XIII e della XIV dinastia.



    Una lacuna d'ombra è ancora sugli Hyksos, o re pastori: terreno questo
    quasi interamente inesplorato. Per le scoperte di Karnak riferentisi al secolo
    III a. Cr. si potè ricostruire cronologicamente quel periodo della
    storia di Tebe che va dalla caduta della XX dinastia alla conquista persiana.
    Indi si poterono seguire tutte le fasi progressive della grande trasformazione
    della monarchia militare tebana in vero Stato teocratico impersonato nella
    serie dei grandi sacerdoti di Ammone.

    Gli oggetti scoperti a Karnak (fra l'altro cinquecento statue, alcune delle
    quali sono autentici capolavori) hanno altresì dato modo di studiare
    la scultura tebana durante il periodo di oltre duemila anni e di vedere in
    che, per le sue speciali caratteristiche, si distingue dalle altre scuole
    d'arte egiziane. Al Maspero, succeduto in Francia, nella Direzione generale
    d'archeologia, al Mariette, organizzatore del servizio di conservazione dei
    monumenti egizi e scopritore del Serapeum, sono dovute le importanti ricerche
    e scoperte di Dabchur, a sud-est del Cairo, nel vasto territorio della grande
    necropoli menfita. Due piramidi colossali, costruite con mattoni crudi fatti
    col fango del Nilo, si rivelarono per le tombe di Usortesen III della XII
    dinastia e di Amenemhat III.



    Nella prima delle due piramidi, la settentrionale, quattro tombe principali
    si aprono sotto il corridoio, mentre otto sarcofaghi di principesse erano
    deposti in cavità di minore importanza, in uno strato inferiore, ma
    in comunicazione con le tombe delle regine. Questi dodici sarcofaghi erano
    stati violati nell'antichità, ma i violatori non erano riusciti a impadronirsi
    di tutti gli oggetti. Avventuratamente gli stessi Egiziani avevano preso delle
    precauzioni contro gli eventuali spogliatori di tombe e deposto i gioielli
    di molte principesse in cavità praticate nel suolo stesso della galleria.
    Così si son potuti scoprire i più antichi e preziosi gioielli
    dell'antico Egitto, che oggi costituiscono uno de' migliori ornamenti del
    museo di Ghizeh. Confrontando questi gioielli con quelli dell'epoca dei Ramessidi,
    vediamo che i lavori più antichi sono i più belli, i più
    fini, i più squisitamente eseguiti. Il maggiore sviluppo artistico
    e dunque delle età più remote; i prodotti dei tempi posteriori
    non furono in genere che cattive copie delle opere più antiche.

    Nell'altra piramide della necropoli mentita, posta a mezzogiorno, verso Menchiyeh,
    non furono trovate mummie che in due sole delle molte sue tombe, ma l'importanza
    di esse compensa dello scarso numero. L'una è di un re, Ra-Fu-Ab, di
    cui il ricordo era ancora perduto; l'altra e di una principessa regina, Nub-Hotep.
    Il feretro del re era coperto di lunghe fasce d'oro su cui erano riprodotti
    infinite volte i nomi e i titoli regali. La mummia, avviluppata d'una foglia
    d'oro, portava ancora il copricapo reale; li accanto erano gli scettri, il
    flagello, l'emblema della potenza sovrana. Ai piedi del sarcofago, una cassa
    contenente i vasi coi visceri del defunto. Il cofano inviolato portava ancora
    il suggello di Ainenemhat III della XII dinastia, segno che questo sovrano
    aveva presieduto ai funerali del suo predecessore o condominante. In un angolo
    eravi un gran tabernacolo (naos) di legno, dove riposava la statua
    del « doppio » del defunto: statua raffigurante un giovinetto
    di cinque o sei anni, scolpita in legno duro, quasi nero, ma di una esecuzione
    perfetta. Nella camera sepolcrale della tomba inviolata di Nub-Hotep, la regina,
    probabilmente la moglie di Ra-Fu-Am, si rinvenne un feretro di legno laminato
    d'oro che portava dei testi coi nomi e i titoli ripetuti della principessa.
    Accanto alla mummia erano gli scettri e il flagello ornato d'oro; al collo
    essa aveva sei monili d'oro massiccio, alla testa vasi di alabastro, a mezzo
    il corpo un pugnale dalla lama d'oro e una testa d'avvoltoio.


    I maggiori progressi
    dell'egittologia riguardano specialmente le epoche a noi più vicine
    : la greca, la romana, la bizantina. Innumerevoli papiri usciti dalle rovine
    ci hanno fornito sufficienti lumi sulla costituzione civile e l'amministrazione
    dell'Egitto. Contratti in lingua greca e in lingua egizia e in carattere demotico
    o, per l'età bizantina, in cofto, ci hanno dato preziose indicazioni
    sull'organizzazione della famiglia, l'eredità, la proprietà
    individuale o collettiva. Registri d'imposte, circolari indirizzate dai ministri
    dei Tolomei ai loro funzionari in provincia forniscono chiare nozioni sul
    sistema e l'ordinamento finanziario. Lettere d'affari o biglietti familiari
    ci fanno sapere del regime alimentare e dell'intimità della vita domestica.
    Carte archiviali pubbliche o private contengono opere, ch'erano per noi andate
    perdute, di storici o poeti greci o versioni delle medesime. Papiri e pergamene
    portano documenti dell'epoca musulmana. Scritti greci, cotti, arabi si riferiscono
    al periodo della dominazione persiana.


    Importanti
    risultati sono stati raggiunti dai lavori della missione archeologica italiana
    in Egitto, finanziariamente sorretta dal re e dai ministeri dell' Istruzione
    e degli Esteri e diretta da Er
    nesto
    Schiaparelli, con la collaborazione del Paribeni, del Breccia, direttore del
    museo di Alessandria d'Egitto, e di altri valenti investigatori. Ricerche
    e scavi furono praticati in specie nella necropoli di Menfi, presso la piramide
    di Cheope, nell'area dove sorgeva l'antica Eliopoli, nelle necropoli di Assiut
    e di Gau-el-Kebir, nell'area della fortezza di Ghebelen, a Tebe, nella parte
    meridionale e nelle prossime necropoli. A Eliopoli si rinvennero un edificio
    a volta delle prime dinastie, che faceva parte dei celebre santuario del Sole,
    onde trasse il nome la città; i ruderi del tempio del torello Mneris;
    avanzi di antichissime abitazioni del periodo predinastico e di quello coevo
    alle prime dinastie; a Ghizeh, alcune grandi tombe, e le prime tracce di sepolture
    di quella stessa necropoli, del periodo fra la VI e la XI dinastia. Assiut
    diede abbondante materiale per l'illustrazione dello stesso periodo. A Gau
    le tombe dei sacerdoti di Set recarono nuove nozioni sul periodo della XIII
    dinastia.



    A Ghebelen si scopersero le fondamenta di una città e di villaggi che
    risalgono fino al periodo predinastico e ruderi del famoso antichissimo santuario
    di Hathor. Nella valle delle Regine, a Tebe, tombe di dignitari, quella della
    principessa Aahmesit, figlia di Seknenra, della XVII dinastia, che scalzò
    il dominio degli Hyksos; le tombe di tre principi figli di Ramsete II, ricche
    di dipinti, e quella della regina Nofertari, che per bei lavori d'arte e ottima
    conservazione è delle più notevoli del territorio tebano. Nella
    valle di Der-el-Medinet, insieme con precise indicazioni sulla confraternita
    dei Sotemash, addetti al servizio della necropoli, e con frammenti di vasi
    che lumeggiano i rapporti intercorsi fra l'Egitto e l'Egeo, si trovò
    intatta la tomba di Kha, architetto delle grandi costruzioni di Tebe e soprintendente
    ai lavori di quella necropoli, sepolto insieme con la moglie Mirit, sotto
    il regno di Tutmosi Ill. Questa tomba costituisce oggi un prezioso ornamento
    del museo egiziano di Torino.



    Mille particolari sono emersi della quotidiana vita domestica di quel tempo
    e specialmente della dolce intimità dei due sposi, come se essi ci
    fossero contemporanei. Fu ritrovato ancora un piccolo archivio familiare con
    52 papiri, dei quali 43 demotici e 9 greci, del periodo tolemaico. La Società
    italiana per la ricerca dei papiri, sorta con l'appoggio dell'Accademia dei
    Lincei,
    ha
    fatto poi, per mezzo di Schiaparelli e Breccia, Vitelli e Pistelli, preziosi
    acquisti di papiri al Cairo, a Ghizeh, a Medinet-el-Fayum, a Gau-el-Kebir,
    e sotto la direzione del Breccia e del Biondi ha promosso scavi altresì
    a Ghizeh (Menfi) e ad Aschmunein, l'antica Hermupolis Magna.



    Nel 1923, la curiosità di tutto il mondo fu attratta dai risultati
    dei nuovi scavi di Luxor, nella famosa Valle dei Re, eseguiti da lord Carnarvon
    e dall'egittologo dott. Carter. Questi ricercatori riuscirono dopo sedici
    anni di lavori, a trarre alla luce meravigliosi tesori archeologici, avendo
    scoperto il sepolcro del faraone Tutankamen, della XVIII dinastia, che regnò
    sugli Egizi 3500 anni fa. Il museo del Cairo si arricchì, per questa
    scoperta, di una quantità ingente di oggetti, di gioielli, di statue,
    di preziosi lavori artistici, tutti relativamente ben conservati. Lord Carnarvon,
    mentre faceva continuare alacremente gli scavi, e quando già aveva
    trovata la mummia di Tutankamen, morì quasi improvvisamente (aprile
    1923), vittima di un morbo misterioso che sembrò dar ragione alla superstizione
    dei locali, secondo la quale i Faraoni si vendicano sempre, inesorabilmente,
    contro chi osa disturbare il loro millenario riposo.


    image

    Edited by kiccasinai - 23/2/2011, 00:42
     
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