VIVERE NELLA CITTÀ DEI MORTI

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  1. kiccasinai
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    CAIRO. VIVERE NELLA CITTÀ DEI MORTI

    di Roberta Maurutto

    «Situazione da risolvere o realtà da proteggere?» E’ questa la prima domanda dell’intervista scritta all’antropologa italiana Anna Tozzi in merito allo studio da lei condotto inerente la Città dei Morti del Cairo.

    Antico cimitero monumentale musulmano ancora in funzione di inumazione, Al Qarafah è attualmente abitato da circa 800000 cairoti, soprattutto discendenti di quella massa di gente del ceto contadino proveniente dal sud del paese e di rifugiati dai villaggi del Sinai occupato dagli israeliani, che già dall’inizio del secolo scorso, a seguito della crisi urbana degli alloggi e delle carestie, aveva iniziato a occupare le stanze adibite alla visita ai defunti come abitazioni permanenti.

    La caratteristica di coabitazione tra vivi e defunti nella necropoli è un aspetto originale e unico al mondo. «La specificità socio-culturale di questo cimitero, è da salvaguardare, come d’altronde ogni diversità bio o culturale che sia». Risponde così la anche-coordinatrice del progetto di antropologia applicata, ideato dal Centro Documentazione La Città dei Morti. Progetto che come primo step propone piccole visite guidate all’interno di Al Qarafah. Il fine principale consiste proprio nel valorizzare e preservare il patrimonio culturale dell'unico cimitero abitato al mondo, in modo da far conoscere gli abitanti e la vita all’interno della Città dei morti e apportare un miglioramento ambientale e delle condizioni di vita grazie al coinvolgimento degli abitanti.

    Certo gli argomenti da affrontare in merito alla Città dei morti sono innumerevoli, come innumerevoli sono le sensazioni che si provano a camminare lungo le sue strade e viuzze sterrate: una grande calma, pochissime macchine, quasi che la Cairo disperata tutt’ intorno sia la cornice di un altro quadro.

    Il rapporto del resto della metropoli e delle autorità locali con la necropoli è ambiguo. La Città dei morti infatti non è l’unico quartiere povero del Cairo, né più grande come estensione o come numero di occupanti, eppure pare essere causa di comune imbarazzo, forse ritenuta sfregio dell’immagine pubblica della città. Per le classi alte per esempio, al Qarafah è coacervo di povertà ed ignoranza, almeno per sentito dire o visionato nei vari film, perché raramente qualcuno si è addentrato personalmente, senza contare che, come ogni altra zona povera, rappresenta un bacino di utenza per i movimenti islamisti neofondamentalisti.

    Quella dello sgombro di ciò che dalla maggioranza dei cairoti e dalle stesse autorità è considerato semplicemente uno slum, pare essere la politica ritenuta più risolutiva, (come già avvenne nella metà degli anni 90 per una parte del cimitero, con conseguenze disastrose per la comunità). Chi di dovere non è però in grado di far fronte all’emergenza abitativa di un numero tale di cairoti, senza contare l'altissimo valore architettonico ed artistico della zona che rischia di scomparire.

    Chi abita la Città dei morti? E’ difficile tracciare un profilo unico. Uno studio sociologico degli anni 90 condotto dall’urbanista Galila al Kadi individua la comunità come composta dalla classe medio - bassa. Si considerano residenti a tutti gli effetti, e in alcune aeree quasi totalmente urbanizzate, quelli che dimorano nelle palazzine non si ritengono abitanti di un cimitero bensì di un quartiere. Non hanno una coscienza civica né una consapevolezza del luogo dove abitano, e comunque c’è molto da distinguere fra le classi sociali. Ci sono 17 quartieri, ognuno con una sua fisionomia, alcune zone sono abitate da poveri, dove c’è emarginazione, ma altre sono abitate da gente normale che lavora e studia .

    Certo non è facile allontanarsi dall’idea di povertà ed emarginazione associata ad un così considerevole numero di persone che abitano in un cimitero.

    Anna Tozzi ha vissuto all’interno della necropoli per 5 anni, alla domanda inerente le condizioni igienico – sanitarie del cimitero risponde così: « Dipende dal quartiere. Il sistema idrico è sempre esistito nel cimitero, date le tombe dei nobili, dei sultani e dei santi. In alcuni, quelli urbanizzati ci sono tutte le infrastrutture necessarie (acqua, luce, fogne, trasporti pubblici e privati), in altri dove le sepolture superano le abitazioni, hanno i pozzi assorbenti. Tuttavia ci sono ancora alcune zone, molto poche, dove manca tutto. Rete fognaria e smaltimento rifiuti sono le questioni più urgenti».

    Vero e proprio cosmo vitale e dinamico in continuo sviluppo, la Città dei morti si presenta come un tutt’uno con il piano urbano che in alcuni punti s’incunea ancora nel centro storico. Caratteristica che lo rende molto diverso dalla nostra immagine di cimitero: luogo silenzioso e riservato circoscritto da mura e cipressi. Proprio questa caratteristiche mi suggerisce l’ultima domanda: Vivere così vicino al simbolo stesso della morte (la sepoltura) è in grado di influenzare la vita stessa degli abitanti della città dei morti?

    «Non è in grado di influenzare il valore della vita, bensì è parte della vita stessa, della cultura egiziana tradizionale, ossia di un modo “altro” di concepire il mondo».
     
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  2. kiccasinai
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    7 febbraio 2008
    La città dei morti



    Al Cairo, metropoli dove convivono 17 milioni di persone, c'è una necropoli dove la vita continua

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    Una densa miscela di inquinamento e umidità ricopre oggi quella che per i faraoni era una periferia del regno bagnata dal Nilo, ma che coi romani prima e con gli arabi poi si è sviluppata in dimensioni ed importanza fino a diventare una delle città arabe ed africane maggiormente popolate, un enorme contenitore di storie, un sistema estremamente dinamico e al contempo, a detta degli egiziani stessi, immobile (o immobilizzante…?). Capitale amministrativa ed economica, soprattutto dagli anni della rivoluzione nasseriana (1952) e poi con la "open door policy" degli anni '70, il Cairo ha costituito e tuttora costituisce un irresistibile magnete per la popolazione egiziana e per il turismo (e gli investimenti) dall'estero, rappresentando perciò anche visivamente uno spazio dove i processi paralleli di urbanizzazione, crescita demografica e speculazione edilizia hanno subito una drastica ed incontrollata accelerazione, intrecciandosi sempre di più alle disparità sociali preesistenti.

    E poiché nella realtà le disparità sono ben rappresentate da confini sensibili, salire gli scalini del ponte di ferro che attraversa l'autostrada alle spalle della cittadella di Mohammed 'Ali può dare una percezione abbastanza chiara della separazione - non solo spaziale - che si percepisce entrando nella "città dei morti", dall'altra parte. Ed è un'emersione dalla confusione, dalla frenesia, dalla sensazione di saturazione che il Cairo ti lascia addosso: per le strade del cimitero una grande calma, pochissime macchine, il respiro e la vista si distendono lungo le viuzze sterrate, seguendo la linea delle cupole finemente decorate che muovono il profilo basso della Qarafah, ovverosia di ciò che è rimasto delle aree riservate alla sepoltura dei morti della Cairo fatimida, mamelucca (soprattutto) e poi ottomana. Situato a est del Nilo e del centro del Cairo, il cimitero si estende alle zone a nord (Bab el-Nasr, Darrasa) e sud della cittadella, alle pendici della montagna Moqattam (Imam Ech-Chefe'i).
    Ritagliato dal resto del tessuto urbano da superstrade a 8 corsie e circondato dalle nuove aree residenziali nate nel secolo scorso per "ricollocare" la popolazione cairota, il cimitero è a sua volta abitato. Le tombe tradizionali includono infatti una stanza per il/i morto/i, una o due stanze adiacenti e/o una corte chiusa, così da permettere ai parenti dei defunti di visitare i propri morti per lunghi periodi, poiché si crede che gli spiriti transitino o si manifestino accanto alla loro tomba fra il giovedì ed il venerdì: questa concezione di essenziale vicinanza con la morte, il cui spazio rimane pur sempre nettamente delimitato e separato dallo spazio dei vivi, ha origine per alcuni nell'epoca dei faraoni, altri sostengono si tratti piuttosto di una devianza locale dell'islam (che prevede sepolture semplici).
    La spiritualità del luogo è ulteriormente contrassegnata dalla presenza di numerosi mausolei di santi sufi ed importanti imam (Ech-Chefe'i, Al-Leithi), che ha fatto sì che fin dal XV secolo la necropoli cairota fosse popolata da pellegrini in transito sulla via di terra che unisce l'Africa alla Mecca, ma anche dai guardiani ed operai che, stanziatisi nel cimitero, si occupavano della sua custodia e mantenimento: decidono di venire seppelliti qui anche diversi sultani (Qaytbey, Barquq), decorando anche nella morte la propria dinastia con capolavori di architettura mamelucca che hanno in seguito accolto scuole e moschee, accanto alle quali sorgono poi le tombe di poeti, ricchi dignitari e militari.

    Chi vive nella Città dei Morti? In ogni caso anche l'altissima pressione demografica, il cattivo stato delle case popolari costruite negli anni del socialismo nasseriano e la mancata armonizzazione fra salari e costi degli immobili di recente costruzione hanno portato, già dall'inizio del secolo scorso, a una situazione di insediamento duraturo per altre parti della (neo)popolazione cairota. È un processo avvenuto per alcuni tramite l'occupazione (pro manutenzione) delle tombe di famiglia, per altri attraverso un "regolare" donne nella città dei morti - foto di marcello neri procedimento di assegnazione delle tombe abbandonate dalla discendenza e gestito storicamente dai becchini, che costituiscono perciò la classe più agiata nel variegato e vivace microcosmo del cimitero, popolato oggi da circa 15.000 persone fra le quali impiegati, lavoratori giornalieri e gestori di piccoli commerci e laboratori.
    Sentendoci parlare arabo, Rasha ci ferma: le traduciamo una breve lettera, sul retro della foto lasciatale da una amica inglese che periodicamente viene al Cairo a studiare la danza del ventre. Rasha è venuta ad abitare qui coi genitori e i sei fratelli, in seguito al terremoto che nel '93 ha abbattuto un intero settore della città vecchia, altri arrivano invece da zone rurali del Cairo o dell'Egitto meridionale e contano fino a due o tre generazioni di neo-cairoti che nel cimitero sono nati e vissuti. Questa promiscuità fra vivi e morti gradualmente si assimila, diventa assurdamente naturale: i panni stesi, i bambini che giocano per la strada, l'impressionante massa di gente che si riversa a tutto vendere e comprare nel gigantesco, incredibile mercato del venerdì (suq el-guma'a) a ridosso del cavalcavia che chiude un lato del cimitero sud… segnali di vita quotidiana nel cimitero, dove non si ignorano i morti che "almeno - dice Rasha scherzando - sono vicini tranquilli…".
    Contraddizioni ancora irrisolte. Ma è pur vero che è inevitabile percepire la repulsione o quantomeno la diffidenza della restante popolazione cairota, che dall'esterno preferisce ignorare l'esistenza della necropoli e dei suoi abitanti, i quali dal canto loro preferiscono nascondere la loro provenienza: è senza dubbio un quartiere a parte, una zona di economia informale che accoglie molti fantasmi (voci di traffici di droghe, di organi, di prostituzione), e che nelle carte del Cairo viene rappresentata in bianco, come se fosse vuota…
    Eppure, in alcune sezioni del cimitero, i servizi base sono garantiti (scuola elementare, acqua, elettricità, fognature, infermeria, linee di autobus, televisione), riflettendo una contraddizione non risolta anche nell'atteggiamento delle autorità: il discorso politico, infatti, continua ad indicare il cimitero come l'estremo e degradato margine della società cairota, a giustificare l'incapacità del governo nel gestire questa situazione, e con la finalità nemmeno troppo velata di lasciare il campo a nuove e redditizie speculazioni edilizie.
    Il rischio è quello della demolizione totale del cimitero (come è già successo, nella metà degli anni '90, per una parte del cimitero di Bab el-Nasr), a sfregio non solo dei suoi abitanti, ma anche dell'allarme lanciato dall'Unesco (1980). Alle considerazioni umanitarie si sommano gli appelli di diversi accademici locali e internazionali, che sottolineano l'altissimo valore architettonico ed artistico da restaurare e conservare; c'è infine chi tenta di valorizzarne anche le peculiarità tradizionali e sociali, come l'antropologa italiana Anna Tozzi che da cinque anni nel cimitero ci vive, studiando da vicino questa realtà ed organizzando piccole visite guidate, tentando di mettere in pratica un turismo sostenibile che, senza essere invasivo ed anzi suggerendo una possibile feconda interazione, faccia conoscere gli abitanti e la vita della città dei morti.

    Marcello Neri

    fonte: www.peacereporter.net
     
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