| Capitolo Secondo
Nonostante ciò che si è detto, Miriam a scuola se la cavava piuttosto bene. Non c'era una materia che prediligesse, ma i suoi risultati erano soddisfacenti in generale. Solo il latino le dava qualche problema, ma non se ne faceva grane, dato che riusciva a mantenere la sufficienza. Proprio la lezione di latino era quella che l'aspettava quando entrò in classe, e il resto della giornata procedette sui soliti binari: lei aspettava che i minuti passassero, questi da parte loro se la prendevano comoda, e tra lei e le altre persone che componevano la sua classe, dopo quattro anni, si era formato una specie di reciproco patto di non belligeranza, o meglio, come Miriam lo chiamava ta sè, di "scambievole inesistenza". Lei per loro non esisteva. Loro non esistevano per lei. Le sembrava equo. Durante la pausa della terza ora, sgranocchiò distrattamente delle patatine al formaggio, seduta nell'aula semivuota, mentre cercava di definire il senso di imbarazzo che quella mattina l'accompagnava. Provò ad andare a ritroso con la mente. Era cominciato nonappena s'era svegliata. Come mai? Fisicamente si sentiva bene, non aveva dolori o malesseri. Magari aveva sognato qualcosa di spiacevole e poi se l'era dimenticato. Concluse che doveva trattarsi di questo, e al suono della campana si preparò subito per la lezione successiva, si disse che era da stupidi stare male per un sogno, e si dimenticò della faccenda. Quando tornò a casa, il cielo, già nuvoloso dal primo mattino, s'era fatto scuro. Riuscì a rincasare poco prima che scoppiasse un acquazzone, che aveva l'aria di voler durare a lungo. Il fatto di non poter uscire non la preoccupava. Terminata la lezione di biologia per il giorno dopo, si buttò sul letto e rimase a fissare il soffitto, domandandosi senza troppo entusiasmo come riempire il tempo che mancava alla cena. Alla fine si accorse di avere freddo, e oltretutto quel tempo le metteva sonno. Spense la luce e s'infilò sotto le coperte, mentre si addormentava cullata dal ruomore della pioggia.
Si svegliò molto tardi, che mancava poco più d'un ora alla cena. Incomprensibilmente, nonostante avesse riposato a lungo, si sentiva intontita, come avvolta da una grossa balla di ovatta. Ricordava particolari di un sogno che non parevano avere senso. Nel sogno aveva trovato delle chiavi nel salotto di casa, e si era resa conto che aprivano cassetti e ante che apparivano ben visibili, ma di cui stranamente non aveva mai notato l'esistenza prima d'allora. Ne estraeva dei libri. Ne rammentava uno dalla copertina verde, un altro molto più grosso dalla copertina blu, e un libro nero che doveva far parte di un'enciclopedia a temi, perchè aveva stampato il numero nove e sotto il titolo: "Non apprendere errato". Strano titolo per un'enciclopedia. Non ricordava altro, se non la visione di una grande nave, un veliero come quelli antichi, che invece di solcare le acque di qualche mare navigava fra le stelle. Vederlo le aveva dato una sensazione positiva: ora non sapeva più dire in che senso, ma come se avesse capito qualcosa di molto importante. Miriam si alzò dal letto, scuotendo la testa al pensiero di quello strano sogno, e andò in bagno a spazzolarsi gli ondulati capelli castani che le arrivavano fino alle spalle.
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