UNA BUFERA ANNUNCIATA, IL DOPING NEL CICLISMO

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ALBERTOSIG
view post Posted on 24/9/2008, 08:19




Come un pugile suonato che tenta di rialzarsi ma puntualmente viene colpito con un gancio potente sì da rendere vana ogni residua veemenza. E’ con questa asserzione che si può descrivere fedelmente il gravoso momento che sta attraversando il ciclismo internazionale ormai in agonia. La medicina? Si chiama tolleranza zero.

L’anno scorso alla vigilia della Gran Boucle erano stati appiedati dalla giustizia sportiva gli unici che potevano sopperire in parte all’abdicazione di Re Armstrong, Basso (il principale antagonista dell’americano all’ultima corsa gialla), Ullrich (l’eterno secondo) e Vinokurov (uno dei pochi a ritagliarsi un piccolo spazio di gloria nell’era del texano). A quel punto il Tour che iniziava da Strasburgo, il più tormentato di sempre, oltre a rappresentare il culmine tenebroso annunciato dai sempre più numerosi episodi antisportivi aventi l’inganno e la frode a farla da padrone incontrastato, assumeva i connotati di una corsa dimezzata nelle qualità e nella attendibilità. Chi poteva ormai riconoscersi in corridori rappresentati loro malgrado da iperdopati senza scrupoli, aventi il cinismo come unico credo, impregnati d’immoralità sino al midollo, devoti alla dea del “successo ad ogni costo”, volti indirettamente a distruggere lo sport tutto? Inoltre un Tour senza veri fuoriclasse del pedale non poteva trascinare con sé quel genuino trasporto entusiastico propedeutico alla “storicizzazione” delle grandi competizioni a tappe. Difatti ad indossare la maglia gialla per una fetta cospicua di torneo sarà un semisconosciuto al grande ciclismo, lo spagnolo Pereiro Sio, ed un americano, Floyd Landis che però con una grande impresa d’altri tempi s’era ripreso ai danni dello stesso Pereiro il simbolo del primato. Malgrado le nobili defezioni il Tour n°93 assumeva un profilo divertente ed a tratti prestigioso, quel prestigio che era stato messo a dura prova dalle recenti bombe del doping, virus da tempo infestante uno degli sport più belli e seguiti d’ogni era e che si avviava pericolosamente ad issare la bandiera nera annunciante “morte” e disperazione. Ma, come dicevo, la splendida affermazione di quello che si accingeva a raccogliere l’eredità di Armstrong, Landis, aveva temporaneamente assorbito tutto il male presente nelle due ruote, conferendogli nuova luce. Ed invece subito dopo la conclusione del tour che aveva sancito la splendida vittoria del nuovo leader statunitense ecco avvenire quello che mai era avvenuto in un secolo di corsa, il degno avvenimento di un periodo assolutamente inviso dalla storia. Landis veniva trovato positivo proprio dopo la grande affermazione della 17^ tappa, delegittimando per l’ennesima volta il ciclismo tutto trafitto da un colpo al cuore. Un eroe si trasforma in un men che non si dica in emblema sudicio di tale disciplina. Si ha la triste conferma che il mondo del pedale ha ancora molto da cambiare se vuole riguadagnare credibilità. L’enorme pressione della federazione internazionale evidentemente non è ancora bastata. Si mantiene semi intatta la convinzione che per prevalere sugli altri occorre agire in maniera sporca. Un concetto troppo radicato nel ciclismo odierno. Nemmeno i controlli a tappeto sono bastati ad estirpare tale “virus mentale”. Nonostante ormai si abbia la quasi certezza di essere smascherati. Quantunque fior fiori di corridori si siano visti bruciare la loro carriera per incaponirsi a legarsi a doppio filo con l’illecito. Sembra quasi un’ostinazione insensata. Ma la realtà è proprio questa, per quanto possa sembrare illogica e disdicevole. L’ennesima agghiacciante conferma la si ha avuta anche quest’anno. Con Basso ancora in stand bey (lo rivedremo nel 2009 dopo aver pagato il suo debito con la morale), Ullrich squalificato a vita, Landis alle prese con la giustizia sportiva per riottenere il Tour 2006, quello n° 94 doveva essere la gran boucle del “ricomincio da zero”, del rinsavimento. Risultato? Dopo esserci entusiasmati per l’uomo nuovo del ciclismo, il danese Rasmussen che aveva praticamente ipotecato la corsa gialla, ecco accadere quello che t’aspetti ma che non azzarderesti ad augurarti per il bene dello sport. Anch’egli avrebbe trafficato sostanze dopanti, eludendo inoltre i controlli antidoping. Un altro mito si scioglie come neve al sole. Riemerge in tutta la sua estensione il fenomeno metastasizzante il mondo del pedale. A rendere le corse intrise d’incertezza causa ribaltamenti improvvisi ormai diventati normalità non sono certamente le imprese sportive dei corridori, ma le loro squalifiche da cui nessuno può ritenersi immune. Il ciclismo va rifondato al più presto e con ogni mezzo. Se necessario fermandosi per alcuni mesi. Perché se appena un corridore ottiene un prestigioso traguardo viene beccato con le mani nel sacco vuol dire che la morte di questo splendido sport è davvero imminente.
ALBERTO SIGONA (USERNAME: ALBERTOSIG)
 
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