cosa è il capitalismo

tratto da Mondoperaio

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  1. milanesestanco
     
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    Scritto da Luciano Pellicani

    Il capitalismo si presenta, prima facie, come un particolare modo di
    produzione centrato sul mercato, luogo in cui si incontrano la domanda
    e l'offerta dei beni e dei servizi e si svolge il gioco della
    concorrenza; tanto particolare, che è stato giustamente detto che la
    vita economica si è dimostrata realtà solo dal momento in cui è
    apparso il capitalismo. E questo perché solo grazie ai prezzi di
    mercato – che sono gli insostituibili indici di scarsità – il calcolo
    economico è possibile; talché persino un comunista come come Oskar
    Lange ha dovuto convenire che è nel capitalismo e grazie al
    capitalismo che "il principio della razionalità economica trova piena
    applicazione".
    Va subito precisato che mercato e capitalismo non sono la stessa cosa:
    se così fosse, dovremmo giungere alla conclusione che il capitalismo è
    vecchio quanto la stessa civiltà, dal momento che a partire dalla
    invenzione dell'agricoltura il personaggio più importante della vita
    economica è stato, dopo l'agricoltore, il mercante, vale a dire quel
    particolare attore sociale che opera sul mercato. Il capitalismo non è
    semplicemente un sistema economico nel quale è presente il mercato; è
    qualcosa di più; e precisamente un sistema autoregolato di mercati che
    tende ad estendere la logica catallattica a tutti i processi
    produttivi e distributivi. Il suo spirito animatore – uno spirito che
    non è dato trovare in nessun altro sistema economico – è la volontà di
    acquisire senza limiti (come actus), e non l'acquisizione (come
    concreto possesso di beni). Ciò fa del capitalismo un sistema
    economico dinamico – rectius: autopropulsivo –, aperto e in continua
    espansione e trasformazione, alla ricerca frenetica di nuovi campi di
    azione – vale a dire, di nuovi mercati –; dunque, l'esatto contrario
    dell'economia autarchica (o naturale), gestita come un oikos e basata
    sul principio della corrispondenza fra la produzione e il consumo.

    E', quindi, il capitalismo, un'economia di scambio. Ma, anche qui,
    occorre una precisazione. Lo scambio è presente in tutte le formazioni
    sociali, primitive o complesse che siano. Lo è a tal punto che Georg
    Simmel ha definito l'uomo "l'animale che pratica lo scambio" e Peter
    Blau ha letto la vita sociale come un "sistema di scambi". Però solo
    nel modo di produzione capitalistico accade che:
    a) il mercato sia al centro della vita economica, b) che gli scambi
    che in esso si svolgono siano regolati esclusivamente dalla legge
    della domanda e dell'offerta e c) che i fattori impiegati nella
    produzione – ivi compresa la forza-lavoro – siano pagati in moneta e
    che, in cambio dei beni e dei servizi, si accetti solo moneta. Questo
    vuol dire che il capitalismo è una economia monetaria, anche se non
    tutte le economie monetarie sono necessariamente capitalistiche. La
    moneta è indispensabile al funzionamento dell'economia capitalistica,
    perché solo per il suo tramite è possibile il calcolo razionale dei
    costi e dei ricavi. Tale calcolo avviene sulla base di un confronto
    fra il volume monetario guadagnato e il volume monetario investito: se
    il primo è superiore al secondo, il produttore avrà realizzato un
    profitto. Quest'ultimo è una eccedenza sui costi, che, per un verso, è
    lo scopo diretto e l'incentivo determinante della produzione e, per un
    altro, ciò che misura non tanto l'efficacia della unità produttiva,
    quanto la sua efficienza. Infatti, mentre l'efficacia di una unità
    produttiva indica il grado in cui essa riesce a realizzare i suoi
    fini, l'efficienza è il rapporto fra i risultati e i mezzi (scarsi)
    impiegati per ottenerli: come tale, essa è misurata dalla quantità di
    risorse necessarie per produrre una unità di prodotto, sicché
    l'efficienza aumenta, caeteris paribus, con la diminuzione dei
    costi. Essere efficienti vuol dire economizzare, cioè saper utilizzare
    al meglio le risorse scarse. Il che accade nella misura in cui i
    prezzi regolano, in maniera impersonale, il movimento dei beni sul
    mercato e forniscono agli imprenditori le informazioni necessarie per
    compiere il calcolo economico.
    Per questo Giovanni Sartori ha definito il mercato "una mente
    invisibile", vale a dire un "calcolatore spontaneo" che risolve
    quotidianamente migliaia – anzi, milioni – di equazioni e che, in
    aggiunta, produce un ordine spontaneo, un sistema autoregolato o, più
    precisamente, regolato automaticamente dai prezzi. Donde la famosa
    metafora smithiana della "mano invisibile" che, attraverso un processo
    apparentemente anarchico, sincronizza l'offerta alla domanda. I prezzi
    di mercato, inoltre, sono indispensabili per misurare il progresso
    economico, che dipende dall'accumulazione del capitale efficiente.
    Infatti, in mancanza di prezzi di mercato, che permettono di risalire
    dai beni di consumo (beni diretti) ai beni che compongono il capitale
    (beni indiretti), non è possibile sapere se l'accumulazione di
    capitale fisso rappresenta una accumulazione di capitale efficiente.
    Ora, perché la logica catallattica possa dispiegarsi pienamente,
    occorrono particolari condizioni politico-giuridiche di modo che a)
    siano pienamente tutelati i diritti di proprietà, b) sia
    istituzionalizzato un diritto razionale che si possa calcolare in modo
    simile a una macchina e c) sia garantita la più ampia libertà di
    intraprendere, in tutti i campi e in tutte le direzioni. Laissez
    faire, laissez passer: questo è il principio su cui si basa il
    capitalismo nella sua forma ideal-tipica. Il quale è un sistema
    economico caratterizzato, ex definitione, dalla presenza di una
    molteplicità di soggetti in concorrenza permanente il cui fine è la
    massimizzazione del profitto. Tali soggetti sono le imprese, che
    possono essere definite come quei sottosistemi, organizzati al loro
    interno su basi gerarchiche, che combinano, tecnicamente ed
    economicamente, i fattori produttivi per ottenere una merce o un
    servizio da immettere sul mercato; come tali, esse sono le istituzioni
    di base del capitalismo, il quale, precisamente per questo, risulta
    essere una economia di imprese.
    Se l'impresa rappresenta l'unità di base del sistema capitalistico,
    l'imprenditore è la sua figura più importante, quella grazie alla
    quale si materializza il tratto più notevole del modus operandi del
    capitalismo: l'incessante rivoluzione operata da una energia
    innovatrice e, come tale, distruttiva degli schemi industriali e
    commerciali esistenti. E' l'imprenditore – non già il capitalista
    propriamente detto – il soggetto creativo che assume l'iniziativa di
    guidare i mezzi di produzione in nuovi canali. Il suo specifico
    strumento è il capitale, grazie al quale egli può sottomettere al
    proprio dominio i beni di cui ha bisogno. Il capitale è un "ponte" fra
    l'imprenditore e il mondo dei beni, si potrebbe dire, se questa
    immagine non suggerisse qualcosa di statico, mentre il capitale non è
    una cosa, bensì un processo che usa cose materiali quali momenti della
    sua esistenza permanentemente dinamica. Tale dinamismo è espresso come
    meglio non si potrebbe dalla celebre formula marxiana
    Denaro-Merce-Denaro, che indica, per l'appunto, quella tipica
    metamorfosi espansiva per cui il capitale-denaro si converte in
    capitale-merce per tornare ad assumere la forma di capitale-denaro.
    Donde la conclusione cui è pervenuto Marx: il capitalismo è l'unico
    modo di produzione dinamico, poiché esso "non considera e non tratta
    mai come definitiva la forma esistente di un processo di produzione.
    Quindi la sua base tecnica è rivoluzionaria, mentre la base di tutti
    gli altri modi di produzione era sostanzialmente conservatrice".
    Infatti – è sempre Marx che parla – "soltanto col capitale la natura
    diventa un puro oggetto per l'uomo, un puro oggetto di utilità, e
    cessa di essere riconosciuta come forza per sé: e la stesa conoscenza
    teoretica delle sue leggi autonome si presenta semplicemente come
    astuzia capace di subordinarla ai bisogni umani sia come oggetto di
    consumo sia come mezzo di produzione. In virtù di questa sua tendenza,
    il capitale spinge a superare sia le barriere e i pregiudizi
    nazionali, sia l'idolatria della natura, la soddisfazione
    tradizionale, orgogliosamente ristretta entro angusti limiti, dei
    bisogni esistenti, la riproduzione del vecchio modo di vivere".
    Tutto, nel modo di produzione capitalistico, è dinamismo. E tutto è
    dominato dalla compra-vendita. Quindi tutto è merce, anche la
    forza-lavoro. Mentre nella riproduzione mercantile semplice il
    produttore vende il proprio prodotto per acquistare altri prodotti
    capaci di soddisfare i propri bisogni, nel regime capitalistico
    l'imprenditore si presenta sul mercato con il denaro, acquista merci
    (forza-lavoro e mezzi di produzione) e, dopo aver compiuto un processo
    di produzione, ritorna sul mercato con un prodotto che a sua volta
    converte in denaro.
    Non basta, pertanto, la mera circolazione di moneta e merci perché si
    possa parlare di modo di produzione capitalistico; è di decisiva
    importanza che il proprietario dei mezzi di produzione di sussistenza
    si incontri sul mercato con coloro che dispongono di una sola merce:
    la forza-lavoro. Senza una massa di lavoratori formalmente liberi –
    ma, ciò non di meno, a disposizione dell'imprenditore, nel senso che
    questi può acquistare la loro forza-lavoro –, il ciclo produttivo di
    tipo capitalistico non potrebbe neanche cominciare. Ne consegue che
    dire che sul mercato tutti sono, in punto di principio, liberi ed
    eguali non esclude che, in punto di fatto, i partecipanti al gioco
    della catallassi siano divisi in due grandi classi: gli haves (i
    proprietari) e gli have-nots (i proletari). I primi, nella misura in
    cui controllano il "ponte" – il capitale –, esercitano il dominio sui
    secondi; questi, presi nella morsa del bisogno materiale, non hanno
    altro rimedio che andare sul mercato per vendere l'unica merce a loro
    disposizione: la forza-lavoro. Il che significa che il capitale è
    potere di comando sui lavoratori. Tale potere di comando si manifesta
    attraverso il contratto di lavoro, il quale è la differentia specifica
    del capitalismo. Infatti, nel sistema capitalistico il lavoro non è
    più parte di una particolare relazione sociale in cui un uomo (servo o
    apprendista) lavora per un altro (signore o maestro) in cambio di una
    forma di sussistenza: al contrario, esso non è che una merce da
    offrire sul mercato al miglior prezzo, senza comportare come
    corrispettivo alcuna responsabilità da parte dell'acquirente.
    Da ciò consegue che il capitalismo è un gigantesco processo di
    mercificazione che investe tutto e tutti, un processo nel quale lo
    spirito acquisitivo (come actus) diventa incondizionato, assoluto, e
    non solo si impadronisce di ogni fenomeno della vita economica, ma si
    espande in altri settori della cultura e sviluppa una tendenza a
    proclamare la supremazia dell'interesse economico su ogni altra cosa.
    Insomma: là dove il capitalismo, con la sua irresistibile potenza al
    tempo stesso creativa e distruttiva, fagocita le forme economiche
    tradizionali – tutte statiche –, non si realizza solo il principio
    dell'autonomia della logica economica – l'economia per l'economia,
    vale a dire la produzione per la produzione o, più precisamente, il
    profitto per il profitto –, ma anche, quanto meno tendenzialmente, il
    primato della economia sulla politica, la religione, la morale, ecc.
    Il che vuol dire che il capitalismo, oltre ad essere uno specifico
    modo di produzione, è anche un tipo speciale di ordine prodotto dal
    mercato, vale a dire un sistema di vita collettiva che si sviluppa
    spontaneamente, a mano a mano che il processo di mercatizzazione
    cresce su se stesso sino a diventare una valanga culturale, capace di
    travolgere tutto davanti a sé: istituzioni, pratiche, valori,
    tecniche, interessi, mentalità, credenze, ecc. Nessuno, a rigore, ha
    voluto il capitalismo, poiché esso – per dirla con il lessico di Hayek
    – non è una teleocrazia (un ordine programmato per il perseguimento di
    determinati fini), bensì una nomocrazia (un ordine spontaneo che non
    ha un proprio fine, ma che consente di perseguire più fini
    liberamente). Esso non è stato creato secondo un piano intenzionale;
    si è creato a partire da numerosi nuclei originari che vivevano e
    operavano nei pori della società feudale e che non avevano atro fine
    che far crescere illimitatamente i loro capitali di partenza.
    E' per questo che Bucharin non ha esitato ad affermare che "il
    capitalismo non fu costruito ma si costruì"; per la stessa ragione,
    Lenin – profondamente convinto che "la libertà di commercio era il
    capitalismo" e che "la piccola produzione generava incessantemente il
    capitalismo e la borghesia, ogni giorno, ogni ora, in modo spontaneo e
    su scala di massa" – soleva reiterare che persino in un regime
    comunista il mercato di un villaggio, una volta che avesse avuto la
    possibilità di espandersi liberamente, "avrebbe potuto ricostruire
    l'intero albero del capitalismo". Un albero di dimensioni planetarie,
    poiché uno dei tratti essenziali del capitalismo è ciò che oggi si è
    soliti chiamare globalizzazione e che Marx ha così descritto in una
    straordinaria pagina del Manifesto: "Il continuo rivoluzionamento
    della produzione, l'incessante scuotimento di tutte le condizioni
    sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca
    borghese da tutte le precedenti. Tutte le stabili e arrugginite
    condizioni di vita, con il loro seguito di opinioni e credenze rese
    venerabili dall'età, si dissolvono, e le nuove invecchiano prima
    ancora di aver potuto fare le ossa. Tutto ciò che vi è di stabilito e
    di rispondente ai vari ordini sociali si svapora, ogni cosa sacra
    viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare
    con occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella vita, i
    loro rapporti reciproci. Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i
    suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre.
    Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto
    stringere relazioni. Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha
    reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i Paesi. Con gran
    dispiacere dei reazionari, ha tolto all'industria la base nazionale.
    Le antichissime industrie nazionali sono state e vengono, di giorno in
    giorno, annichilite. Esse vengono soppiantate da nuove industrie, la
    cui produzione per questione di vita o di morte per tutte le nazioni
    civili – industrie che non lavorano più materie prime indigene, bensì
    materie prime provenienti dalle regioni più remote, e i cui prodotti
    non si consumano soltanto nel Paese, ma in tutte le parti del mondo.
    Al posto dei vecchi bisogni, a soddisfare i quali bastano i prodotti
    nazionali, subentrano nuovi bisogni, che per essere soddisfatti
    esigono i prodotti dei Paesi e dei climi più lontani. In luogo
    dell'antico isolamento locale e nazionale, per cui un Paese bastava a
    se stesso, subentra un traffico universale, una universale dipendenza
    delle nazioni l'una dall'altra. E come nella produzione materiale,
    così anche nella produzione spirituale. I prodotti spirituali delle
    singole Nazioni diventano patrimonio comune. L'unilateralità e la
    ristrettezza nazionale diventano sempre più impossibili, e dalle molte
    letterature nazionali e locali esce una letteratura mondiale. Col
    rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le
    comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella
    civiltà anche le Nazioni più barbare. I tenui prezzi delle sue merci
    sono l'artiglieria pesante con cui essa abbatte tutte le muraglie
    cinesi, e con cui costringe a capitolare il più testardo odio dei
    barbari per lo straniero. Esso costringe tutte le Nazioni ad adottare
    le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le
    costringe a introdurre nei loro Paesi la cosiddetta civiltà, cioè a
    farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a sua immagine e
    somiglianza".


     
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