principe nero di hollywood

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  1. chiara**
     
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    vi consiglio il libro che si chiama "Walt Disney, il principe nero di Hollywood" di Marc Eliot, lo trovate a 9 euro facilmente nelle librerie:

    http://www.lankelot.eu/letteratura/eliot-m...-hollywood.html

    Walt Disney costruì un impero. L’autore della biografia spiega quanto difficile sia stato ricavare informazioni sulla vita di uno dei più importanti uomini di spettacolo del XX secolo. Non potendo convocare il soggetto del libro, in quanto morto vent’anni prima, per avere notizie di prima mano Eliot ha tentato di rivolgersi all’archivio della Walt Disney: invano. Come se l’immagine granitica ma zuccherosa di Disney non potesse essere messa in dubbio; come se all’interno delle mura di cinta del suo vasto regno ci fossero verità sgradite che dovevano essere sepolte con lui, Eliot fu scacciato in malo modo. Gli fu risposto che erano già in circolazione delle biografie su Disney – palesemente ritoccate, a parer del biografo –, e quelle dovevano bastare. Ma se il tanto misterioso archivio era impossibile da esplorare e se Walt Disney era ormai polvere in un’urna funeraria, questo non significava per Marc Eliot che le verità fossero taciute per sempre. Infatti molti dei collaboratori di Disney erano ancora in vita. Ebbe informazioni da molti dei disegnatori storici, documenti della Fbi, amici e un buon numero di persone che hanno voluto mantenere l’anonimato che hanno avuto il piacere di collaborare al libro e, finalmente, hanno avuto occasione di potersi riscattare e denunciare i tic, le scriteriate violenze subite negli anni.

    Antisemita, fanatico anticomunista, puritano e al contempo ipocrita, alcolizzato e impotente sessualmente, spia ventennale per l’Fbi. Questo era il lato oscuro di Walt Disney, venuto fuori soprattutto dopo i quarant’anni. Seriamente convinto che i propri dipendenti fossero dei figli adottivi, Disney ebbe un’infanzia molto infelice: attaccatissimo al fratello Roy che lo coccolava dopo essere stato brutalmente frustato dal padre dispotico; poco vezzeggiato dalla mamma; cresciuto in svariate città dalle quali il padre scappava per debiti portando con sé tutta la famiglia; senza giochi, senza amici. Cresciuto in estrema povertà, Disney riuscì man mano a sfruttare la passione per il disegno e crebbe in lui la febbre di imporsi come autore di cartoni animati. La sua scalata al successo fu rapida ma non, come verrebbe da pensare, dovuta ad amicizie nella malavita. Disney ebbe il genio, e questo va riconosciuto, di saper sfruttare le proprie potenzialità artistiche nel momento giusto, cogliendo al balzo le varie conquiste del cinema. Se i suoi cartoni muti erano bassi qualitativamente, Disney fu il primo a realizzare un cartoon sonoro – Bill del vaporetto, terzo cartone con protagonista Topolino – e fu un successo clamoroso. Non solo. La Hollywood degli anni Venti era, come è sempre stata ed è tutt’oggi, una sarabanda di divertimenti osé tra miliardari che tutto possono permettersi. In seguito a scandali, specie quello di Fatty (il maestro e amico di Buster Keaton) che fu coinvolto in un omicidio ad una festicciola privata, a Hollywood venne imposta una sequela di regolamenti dal nome Codice Hays. Puritano com’era, Disney incarnò il moralismo di tali nuovi ordinamenti e il suo Topolino fu l’icona internazionale del perbenismo. Le grandi case non volevano che quello per scacciare via l’immagine di una città del cinema scandalosa e peccatrice.
    Tuttavia il grande merito di Disney fu anche quello si sapersi rinnovare e tenere sempre a mente che egli non era solo un imprenditore, ma soprattutto un artista. Il suo impero nacque dalla capacità di espansione, non limitandosi al topo più famoso al mondo ma estendendo il proprio raggio anche alle arti più sublimi come la musica e la Letteratura. Presto nacquero le Silly Symphonies, letteralmente idolatrate dal regista della Corazzata Potemkin Ejzenstejn, poi i film lunghi come Biancaneve e i sette nani – primo cartone della storia ad avere una durata di un film normale – o Fantasia, il progetto più alto di Disney e molti altri definiti subito dei classici da pubblico e critica: Pinocchio, Bambi, Dumbo, Cenerentola, Alice e altri. L’ultimo film a cui Walt Disney prese parte nella lavorazione (ossessiva e puntigliosa) fu Mary Poppins, poco prima di morire. Molte furono le lamentele dei suoi disegnatori, sottopagati e sfruttati oltre l’immaginazione – lavoravano tutto l’anno dalle otto sino alle undici di sera, Natale incluso. Ub Iwerks, uno dei suoi dipendenti più geniali, arrivò a fare anche 700 disegni al giorno. Inumano.
    Come se non bastasse zio Walt, li obbligava a chiamarlo così, era talmente lunatico che bastava una sciocchezza per licenziare chiunque. Si diffuse presto il panico. Ci fu anche uno sciopero di due mesi che fece scandalo in tutti gli States, il fratello Roy dovette spedire Disney a prendersi una vacanza in Sud America per trovare degli accordi con i dipendenti. Fu in questo periodo che crebbe in Disney un acceso anticomunismo che poté sfogare pochi anni dopo nella cosiddetta Caccia alle streghe hollywoodiana. Mandò in galera decine di artisti, molti furono licenziati, altri si suicidarono. Il suo grande amico e maestro Charlie Chaplin fu cacciato dagli Usa senza nemmeno delle prove. Dato che doveva essere un “rosso”, disse, ben gli stava.
    Negli anni Quaranta Disney divenne anche una spia per l’Fbi. La sua sete di vendetta per coloro che in passato non avevano avvallato il suo genio, si scatenò con la caccia ai comunisti. Veniva invitato a feste di gala, vi partecipava e poi riferiva i dialoghi di ciascuno alle autorità.
    Aldous Huxley era suo amico e insieme stavano preparando un adattamento cinematografico da Carroll, quello che poi sarà uno dei capolavori Disney: Alice nel paese delle meraviglie. Durante dei disordini in una scuola, il figlio di Huxley fu massacrato dai poliziotti e fu soccorso dal padre in un bagno di sangue. Fu questo accidente a far decidere a Walt che Huxley non era degno di lavorare al suo film, perché evidentemente progressista.
    Un altro dei suoi più cari amici fu il famoso attore Spencer Tracy, il padre bianco in Indovina chi viene a cena? Il loro rapporto fu così stretto da quando condivisero lo stesso psicanalista. Quando però Tracy si separò dalla moglie per andare a convivere con l’attrice Katherine Hepburn, Walt Disney si disgustò e non gli rivolse più la parola. In compenso con sua moglie Lillian Disney non andò mai d’accordo e clamoroso fu il rapporto morboso con la figlia adottiva, che pettinava e vestiva lui stesso con molto piacere.
    Fra i traumi chiave nella psicologia di Disney c’era il timore di essere stato adottato. Tutto nacque quando partì volontario per la Grande Guerra (mossa che gli attirò molte simpatie nell’Fbi) non fu trovato l’attestato di nascita all’anagrafe. La paura venne confermata negli anni quando furono mandati degli agenti Fbi in Spagna per distruggere dei documenti relativi ad una donna che si pensa amante del padre. Questo accadde, pare, per evitare che possibili discendenti del luogo rivendicassero la parentela con il miliardario americano. Nei suoi film il tema della madre cattiva, spesso matrigna, delle sorellastre cattive è sempre presente. Il desiderio di Pinocchio di diventare “figlio” vero di Geppetto, i genitori dispotici in Mary Poppins che pare ricalchino quelli di Walt, sono tutte chiavi di lettura affascinanti. Se Topolino rappresenta il lato perbene dell’uomo medio – cui Disney era la rappresentazione più alta – Paperino era il versante più isterico, nevrotico, non assessuato come il suo “fratellastro” Mickey. Il fatto poi di avere una figlia adottata non aiutò Disney, già succube di furibonde depressioni e crisi di pianto. Biancaneve stessa diventa una madre adottiva per i nanetti, popolo minuto da proteggere come lo stesso Disney considerava (un po’ perversamente) i suoi dipendenti. Ma il suo mestiere lo sapeva fare e sapeva quando un suo prodotto era di qualità: una volta decise di realizzare un documentario di venti minuti con animali veri e non disegnati. Il fratello Roy e il suo agente si opposero, ostracizzando le proiezioni. All’anteprima che Walt volle tenere si guadagnò un Oscar.
    Il giorno dopo andò nello studio del fratello e gli lanciò in testa la statuetta, che lo mancò per pochi centimetri.

    Qualche parolina anche sul libro di Marc Eliot? Ebbene, è una biografia che poco concede all’analisi psicologica e troppo sguazza nelle dissertazioni finanziarie ed economiche della casa di produzione. Ma sa essere incisiva, grazie soprattutto agli aneddoti che racconta. Uno per tutti, il più triste.

    Quando riuscì a realizzare con Disneyland molti desideri e spettri della sua infanzia per poterli rivivere e finalmente apprezzare Walt Disney era un uomo solo. Si fece costruire a regola d’arte il salotto della sua vecchia casa, in un edificio al centro del parco. Seduto in questa specie di stanza fuori dal tempo, guardava dalla finestra i bambini che si divertivano nel suo parco. Li guardava e piangeva per ore, affogando i singhiozzi nell’alcol.
     
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  2. nicole5
     
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    sapetedirmi dove posso trovare questo libro che ormai è fuori produzione da tutte le parti?
     
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1 replies since 20/2/2010, 00:01   192 views
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