Egitto, si avvicina l’ora della verità

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  1. kiccasinai
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    [CENTER]Fonte:http://www.medarabnews.com/2010/12/01/egitto-ora-della-verita/


    L’Egitto – il più popoloso degli Stati arabi, essenziale alleato degli USA in Medio Oriente, secondo beneficiario degli aiuti americani nella regione dopo Israele, ed ex paese leader del mondo arabo – continua a dibattersi nella sua più che trentennale crisi di identità.image

    L’ottantaduenne presidente Hosni Mubarak che governa il paese fin dal 1981 potrebbe presto lasciare il passo a un successore, la cui identità è però tutt’altro che definita. L’estate del prossimo anno dovrebbero tenersi le elezioni presidenziali, alle quali non è ancora chiaro se si presenterà per l’ennesima volta l’anziano leader, o se emergerà un nuovo candidato sostenuto dal regime.

    Da tempo circola il nome di Gamal Mubarak, figlio del presidente, ma la sua candidatura non incontra il sostegno unanime dei centri di potere che costituiscono la spina dorsale del regime egiziano.

    Un’altra possibilità è che Hosni Mubarak mantenga il potere “finché avrà vita”, come già accadde per i suoi predecessori, Gamal Abdel Nasser e Anwar Sadat. A differenza di costoro però, Mubarak non ha designato un vicepresidente, e dunque una sua improvvisa scomparsa rischia di aprire un pericoloso vuoto di potere nel paese, dalle conseguenze difficilmente prevedibili.

    CLIMA ELETTORALE

    In attesa dell’ “ora della verità”, che potrebbe giungere con le elezioni del prossimo anno o con la morte del presidente (la quale viene data da alcuni per imminente, sulla base delle precarie condizioni di salute di Mubarak, ma potrebbe anche avvenire fra qualche anno), in questi giorni l’Egitto respira già un clima elettorale.

    A determinare tale clima non sono però le presidenziali del 2011, bensì le elezioni legislative per il rinnovo dell’Assemblea del Popolo, la camera bassa del parlamento. Il primo turno si è svolto domenica scorsa, e il secondo è previsto fra qualche giorno, esattamente a una settimana di distanza dal primo.

    Come hanno sostenuto numerosi analisti, queste consultazioni hanno un’importanza molto limitata dal punto di vista della vita democratica del paese, ma sono estremamente rilevanti per chiarire quali siano le tendenze dell’attuale panorama politico egiziano.

    Violenze e minacce delle forze di sicurezza nei confronti dei sostenitori dell’opposizione, arresti su vasta scala, la squalifica di candidati “sgraditi” al regime, il rifiuto di osservatori internazionali e l’intimidazione degli osservatori locali, la difficoltà di raggiungere i seggi in diverse zone del paese, e la rassegnazione di gran parte della popolazione, fanno sì che i risultati del voto siano scontati (e i risultati del primo turno sembrano confermarlo): una sostanziosa maggioranza per il Partito Nazionale Democratico (NDP) del presidente Mubarak, un fortissimo ridimensionamento dei Fratelli Musulmani (la principale forza di opposizione), e una limitata affermazione di piccoli partiti “vicini” al regime, o comunque dal peso politico irrilevante.

    E’ opinione diffusa tra gli osservatori che l’obiettivo perseguito dal regime con queste elezioni sia di emarginare i suoi principali oppositori preparando in questo modo un terreno propizio per aggiudicarsi le presidenziali del 2011.

    UN’OPPOSIZIONE DEBOLE E DIVISA

    L’atteggiamento illiberale e repressivo delle autorità ha spinto alcune forze dell’opposizione laica e della società civile, come il movimento “Kifaya” e l’Associazione Nazionale per il Cambiamento guidata dal premio Nobel ed ex direttore dell’AIEA Mohamed ElBaradei, ad invocare il boicottaggio delle elezioni.

    Questo appello è tuttavia rimasto inascoltato non solo dai Fratelli Musulmani, ma anche dal Partito Wafd e da formazioni di sinistra come il Tagammu e il Partito Nasserista, che hanno mostrato di avere interesse ad assicurarsi una presenza in parlamento anche in assenza di un reale processo democratico.

    Al di là dell’atteggiamento repressivo del regime, l’opposizione appare dunque debole e divisa, priva di una strategia comune. Al suo interno, le difficoltà del movimento di ElBaradei e dei Fratelli Musulmani appaiono essere i casi più emblematici.

    ElBaradei era tornato in Egitto nel febbraio del 2010 riuscendo a coagulare intorno a sé un insieme eterogeneo di sostenitori uniti dalla speranza nel cambiamento. Agli occhi di molti, egli appare come un serio candidato alla presidenza, sebbene la Costituzione emendata nel 2007 di fatto blocchi la candidatura di personalità indipendenti (e praticamente impedisca la comparsa di qualsiasi candidato credibile che non appartenga all’NDP).

    La sua statura internazionale, il fatto di rappresentare un’alternativa all’Islam politico, e il fatto di non avere legami con gli ambienti del potere e con le loro politiche impopolari, hanno reso ElBaradei un leader ideale agli occhi di molti intellettuali liberali, dei media indipendenti e di importanti segmenti delle classi medio-alte, e ciò ha suscitato i timori del regime. Egli si è guadagnato consensi anche in alcuni ambienti della maggioranza religiosa e conservatrice.

    Tuttavia la sua agenda politica rimane vaga e indefinita. Secondo alcuni, ElBaradei è un prodotto dell’Egitto degli anni ’50, erede dell’esperimento costituzionale liberale della prima metà del secolo scorso. Egli è in grado di suscitare generiche speranze in una graduale transizione dell’Egitto verso un sistema democratico. Ma le linee del suo programma politico appaiono confuse, e soprattutto egli sembra avere un legame incerto con la società egiziana attuale, certamente più chiusa e frammentata, e più conservatrice rispetto a quella di sessant’anni fa.

    E’ per questo che alcuni ritengono che il futuro politico dell’Egitto sia nelle mani del movimento conservatore e tradizionalista dei Fratelli Musulmani, che rappresenterebbe la vera forza di opposizione nel paese.

    LA CRISI DEI FRATELLI MUSULMANI

    Questo movimento raccoglie ampi consensi fra le classi più povere della popolazione egiziana, ed anche fra i giovani e gli studenti. I suoi raduni attirano migliaia di sostenitori – molto più di quanto non sia in grado di fare lo stesso NDP. Gran parte del consenso che la Fratellanza Musulmana riesce a rastrellare è legato ai suoi programmi di assistenza sociale, che include scuole, ospedali, e orfanotrofi.

    Tuttavia anche questo movimento, estremamente radicato nella società e nella cultura politica egiziana, sta attraversando una fase assai difficile, caratterizzata da incertezze nella definizione delle strategie e da spaccature all’interno dei suoi ranghi.

    Alle elezioni del 2005, la Fratellanza Musulmana aveva presentato più di 150 candidati (come indipendenti) nell’ambito di una mobilitazione senza precedenti. Grazie a tale mobilitazione, ad un forte voto di protesta, e ad un sistema elettorale certamente più libero di quello attuale, il movimento aveva conquistato ben 88 seggi (pari al 20% del totale). I restanti partiti messi insieme – ad eccezione dell’NDP – ottennero appena 34 seggi.

    Malgrado il loro orientamento conservatore, i Fratelli Musulmani agirono in parlamento secondo linee riformiste, mobilitando l’opposizione contro il rinnovo delle leggi di emergenza in vigore quasi senza interruzione dal 1967 (con una sola pausa di 18 mesi che si concluse nel 1981), organizzando iniziative parlamentari per perseguire i responsabili dei brogli che ad ogni modo si erano verificati nelle elezioni del 2005, e criticando la risposta del governo all’influenza aviaria.

    Tuttavia il regime imparò la lezione, e negli anni successivi al 2005 avviò una dura campagna repressiva ai danni del movimento. Arrestò centinaia di suoi membri e colpì duramente la struttura finanziaria dell’organizzazione.

    Secondo alcuni, ciò ha spinto la Fratellanza su posizioni di maggiore chiusura. Un’elezione interna al movimento, lo scorso anno, ha portato a un’affermazione dei “conservatori” sulla cosiddetta “ala moderata”, eleggendo l’attuale Guida dell’organizzazione, Mohammed Badie. Quest’ultimo sarebbe propenso ad anteporre alla partecipazione politica le attività che tradizionalmente hanno contraddistinto la Fratellanza: l’azione sociale e il proselitismo.

    Nonostante ciò, i Fratelli Musulmani sembrano intenzionati a mantenere la loro presenza nell’arena politica per promuovere le loro soluzioni “di ispirazione islamica” ai problemi del paese (lo slogan del movimento è: “L’Islam è la soluzione”).

    Ciò è vero a tal punto che essi hanno deciso di partecipare alle elezioni legislative di quest’anno malgrado la repressione da parte del governo (almeno un migliaio di sostenitori del movimento sono stati arrestati negli ultimi due mesi, e quasi un quarto dei suoi candidati sono stati squalificati), e malgrado gli appelli di ElBaradei e di altre forze dell’opposizione a boicottare le consultazioni.

    La decisione di prendere parte comunque al processo elettorale ha però comportato un alto prezzo da pagare, in termini di coesione interna della Fratellanza. Importanti membri del movimento si sono apertamente dichiarati contro la partecipazione alle elezioni fino a quando le libertà politiche in Egitto continueranno a restringersi rendendo di fatto nulla la capacità dell’opposizione di controllare l’azione del governo.

    Oltre un quarto dei parlamentari del movimento eletti nel 2005 hanno deciso di non ripresentarsi, alla luce dell’attuale clima di repressione politica. Membri di spicco della Fratellanza hanno costituito un fronte di opposizione interno all’organizzazione, contribuendo a rafforzare un clima di divisione che è del tutto inusuale nei suoi ranghi.

    Come confermano i risultati del primo turno, la performance elettorale dei Fratelli Musulmani sarà dunque deludente, sia a causa delle divisioni interne, sia a causa della repressione da parte del regime, al punto che diversi osservatori prevedono che il gruppo otterrà meno di 20 seggi.

    FRATTURE ALL’INTERNO DEL PARTITO NAZIONALE DEMOCRATICO?

    Alcuni analisti hanno dato particolare rilievo al fatto che il Partito Nazionale Democratico (NDP) al governo ha presentato alle elezioni, per la prima volta nella sua storia, più candidati di quanti siano i seggi disponibili. Questo significa che in molti seggi i candidati dell’NDP corrono gli uni contro gli altri.

    Circa 800 candidati del partito competono per 508 seggi. Secondo alcuni, ciò indicherebbe che l’NDP non è riuscito a riconciliare le rivalità che esistono al suo interno. Secondo altri, questo fatto semplicemente segnala una nuova strategia del partito per aggirare un inconveniente verificatosi alle passate consultazioni.

    Alle elezioni parlamentari più recenti, infatti, membri che non avevano ottenuto una candidatura all’interno del partito si presentavano come “indipendenti”, spesso sconfiggendo i candidati dell’NDP. Gli “indipendenti” a quel punto rientravano nel partito dopo aver ottenuto il loro seggio.

    Se non altro, questo fatto conferma che il partito di governo è una formazione politica scarsamente omogenea, che manca di una propria coerenza ideologica. Esso attrae centinaia di migliaia di aderenti, non perché questi ultimi si riconoscano nella piattaforma politica dell’NDP, ma semplicemente perché sperano che la tessera del partito li aiuti a perseguire i propri interessi.

    Chi è membro del partito può sperare di scalare la piramide del potere, o anche soltanto di ottenere favori e protezioni, o di procacciarsi un lavoro.

    In altre parole l’NDP, invece di essere un partito tradizionale che aderisce a una determinata ideologia politica, è un gigantesco apparato clientelare – un riflesso della rete di sistemi clientelari diffusi in tutto il paese.

    Chi è escluso da queste reti – cioè la stragrande maggioranza della popolazione – è condannato alla disoccupazione, all’emarginazione e alla povertà. Come ha scritto il politologo egiziano Osama Al-Ghazali Harb, “il regime politico autoritario…è riuscito a indebolire tutte le istituzioni politiche”. Esso “ha di fatto allontanato la maggior parte degli egiziani dalla vita politica, creando una condizione di passività e indifferenza rara nel mondo contemporaneo, perfino nei paesi meno sviluppati”.

    Se è dubbio che l’attuale strategia elettorale dell’NDP segnali nuove fratture nel partito, è certo che a partire dal 2000 hanno cominciato a delinearsi al suo interno almeno due fronti in reciproca competizione: la “vecchia guardia” statalista, legata ai giganteschi apparati dell’amministrazione e della burocrazia, e la “nuova guardia” imprenditoriale ed affaristica coagulatasi attorno al figlio del presidente Mubarak, Gamal.

    La “nuova guardia” ha cercato di “rinnovare” l’NDP attraverso un processo di revisione avviato nel 2000. Ha creato nuovi organismi decisionali nel partito ed ha istituito meccanismi elettorali interni per selezionare i leader locali e nazionali. Essa si è fatta tuttavia promotrice di un’aggressiva politica liberista – volta a ridurre il ruolo dello Stato nell’economia ed a favorire l’élite economica – la quale si è rivelata disastrosa per gli equilibri sociali nel paese.

    UNA SITUAZIONE SOCIALE DRAMMATICA

    Sebbene l’Egitto abbia registrato elevati tassi di crescita economica prima del sopraggiungere della crisi globale, la ricchezza prodotta è rimasta appannaggio di una ristrettissima élite economica e politica, aggravando lo stato di povertà della stragrande maggioranza della popolazione.

    La disoccupazione nel paese è ben al di sopra del 20%. La sottoccupazione è cronica. Gran parte di coloro che hanno un impiego guadagnano meno di 30 dollari al mese. L’inflazione galoppa, mentre i livelli di corruzione nel paese sono altissimi. Nel 2008 scoppiarono tumulti causati dall’enorme aumento dei prezzi del pane e di altri generi di prima necessità.

    Il divario tra ricchi e poveri è cresciuto a dismisura. Sempre nel 2008, secondo le statistiche del Rapporto ONU sullo Sviluppo Umano, il 20% degli egiziani controllava l’80% della ricchezza del paese.

    Mentre i pochi ricchi abitano in quartieri esclusivi ed istruiscono i loro figli in scuole ed università private straniere (americane, britanniche, francesi, ecc.), la gran parte della popolazione vive in quartieri poverissimi privi dei servizi più elementari.

    Secondo l’intellettuale egiziano Fahmi Huwaidi, in Egitto sta avendo luogo una disgregazione sociale, caratterizzata da un progressivo declino del senso di sicurezza, dall’assenza di giustizia sociale, politica ed economica, da un rampante individualismo e da una corruzione dilagante.

    “Il cittadino egiziano”, scrive Huwaidi, “è diventato un’isola separata dalla nazione, rinchiusa in se stessa, a causa del suo allontanamento da qualsiasi forma di partecipazione. Egli non sente più che lo stato lo accoglie e lo protegge”.

    In questo panorama di disgregazione, crescono inevitabilmente anche le tensioni confessionali fra musulmani e cristiani. Ma, come hanno sottolineato alcuni, le tensioni si avvertono soprattutto a livello delle fasce più povere. I copti istruiti e benestanti – afferma Youssef Sidhom, direttore del settimanale copto ‘Watani’ – non hanno seri problemi con i loro compatrioti musulmani.

    “Poi vi sono i copti poveri ed emarginati, che costituiscono la maggioranza della popolazione cristiana dell’Egitto”, prosegue Sidhom. Costoro sono poco istruiti e socialmente e politicamente emarginati, e si sentono discriminati.

    Ma la povertà e l’emarginazione politica riguardano in generale le classi più svantaggiate, sia copte che musulmane. Coloro che ne fanno parte si rivolgono in maniera crescente alla chiesa o alla moschea per ricevere quel minimo di servizi sociali che lo Stato non garantisce più.

    Ciò contribuisce a rafforzare l’affiliazione religiosa a scapito dei valori di cittadinanza e di appartenenza nazionale, in un tessuto sociale esacerbato dalla quotidiana lotta per la sopravvivenza.

    LA LOTTA PER LA SUCCESSIONE

    La crisi globale e le crescenti tensioni sociali hanno determinato una battuta d’arresto per la “nuova guardia” dell’NDP, ed attualmente sembra esservi un equilibrio tra essa e la “vecchia guardia” del partito. Quest’ultima ha giocato un ruolo determinante nel definire i nomi da candidare alle elezioni per il Consiglio della Shura (la camera alta del parlamento), tenutesi nel giugno di quest’anno.

    Le elezioni che si concluderanno domenica prossima, dunque, potranno fornire se non altro qualche indicazione sul confronto tra la vecchia e la nuova guardia. Se i candidati sostenuti dalla “vecchia guardia” otterranno buoni risultati, ciò potrebbe essere un brutto segnale per le aspirazioni di Gamal Mubarak alla presidenza.

    Un’altra variabile da non sottovalutare è rappresentata dai militari. Finora tutti i presidenti egiziani sono usciti dai ranghi dell’esercito. Gamal sarebbe il primo a infrangere questo “tabù”.

    Fino a questo momento l’esercito è rimasto apparentemente neutrale nel confronto fra la vecchia e la nuova guardia. Tuttavia esso potrebbe propendere per la prima, visto che l’agenda liberista della nuova classe politico-imprenditoriale, prevedendo una riduzione del peso complessivo dello Stato nell’economia del paese, potrebbe anche comportare una limitazione del potere delle forze armate e dei loro privilegi politici ed economici.

    Vista la difficoltà a definire un successore che vada a genio a tutte le componenti del regime, l’anziano Hosni Mubarak potrebbe decidere di rimanere in carica anche dopo le elezioni presidenziali del 2011, candidandosi alle consultazioni e aggiudicandosi il suo sesto mandato.

    Tuttavia questo significa che, dopo la scomparsa dell’attuale presidente (la quale, come già detto, potrebbe essere imminente, considerata la sua età avanzata e il suo precario stato di salute), il regime – già indebolito dagli ultimi anni di governo sotto la guida di un leader sempre più fragile e fiacco – andrà incontro a un’inevitabile crisi per definire un successore. Il vuoto di potere che ne deriverebbe potrebbe avere esiti imprevedibili.

    La debolezza che contraddistingue anche l’opposizione, e lo stato di prostrazione in cui versa la popolazione, potrebbero permettere al regime di trovare nuovi equilibri al proprio interno e di esprimere un nuovo leader (eventualmente anche attraverso un’azione di forza all’interno del “palazzo”). Ma se la crisi dovesse prolungarsi, tutti gli scenari diventano possibili.

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