Le ripercussioni delle elezioni parlamentari egiziane:

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  1. kiccasinai
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    Le ripercussioni delle elezioni parlamentari egiziane: delegittimazione e crisi politica ufficiale


    fonte: www.medarabnews.com

    11/12/2010

    Original Version: تداعيات الانتخابات البرلمانية – نزع الشرعية وأزمة السياسة الرسمية


    Le recenti elezioni egiziane, caratterizzate da una totale delegittimazione del processo elettorale, segnano un momento triste per l’Egitto alla vigilia di un periodo estremamente delicato per il paese – scrive l’analista egiziano Amr Hamzawy

    ***

    Domenica 28 novembre avevo invitato le elettrici e gli elettori egiziani a recarsi ai seggi elettorali, nonostante le scarse garanzie di trasparenza delle operazioni elettorali, e dopo il fallimento – a causa della mancata coesione dell’opposizione – della scelta del boicottaggio. Scelta che rappresentava secondo me la migliore strategia per rapportarsi con le elezioni.
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    Avevo giustificato il mio invito, da un lato, sottolineando alcuni minimi vantaggi che era possibile realizzare con la partecipazione dei cittadini alle elezioni, come quello di limitare parzialmente gli eccessi e le violazioni previste, e dare una copertura popolare effettiva agli sforzi di supervisione locale. Dall’altro lato, avevo parlato della possibilità che gli elettori impiegassero il loro voto con responsabilità e giudizio, dandolo ai candidati che ritenevano capaci di adempiere alle proprie funzioni con onestà; oppure esprimendo un voto di protesta contro i precedenti deputati che non hanno realizzato ciò che ci si aspettava da loro; o ancora, protestando contro il monopolio del Partito Nazionale Democratico all’Assemblea del Popolo, e a sostegno dei candidati dell’opposizione; o infine, votando i candidati e le candidate dei copti e sostenendo la loro partecipazione positiva alla cosa pubblica, in un momento di esecrabile attrito confessionale.

    Il mio scopo era quello di distinguere politicamente e socialmente fra le caratteristiche complessive di uno spettacolo elettorale non democratico e dai risultati conosciuti in anticipo – ovvero quelle caratteristiche che impongono agli elettori un miscuglio demoralizzante di dubbi sulla trasparenza delle operazioni elettorali e sulla loro utilità, e chi li spingono poi tradizionalmente ad astenersi e a rimanere lontani dai seggi elettorali – e quegli ambiti secondari e quei piccoli dettagli che potevano trasformarsi, il giorno delle elezioni, in fenomeni positivi. Alla condizione però, che ci fosse una partecipazione da parte dei cittadini.

    Che cosa è successo a questo proposito domenica 28 novembre, nel primo turno delle elezioni parlamentari? Quei “minimi vantaggi” non hanno convinto la maggior parte degli elettori e delle elettrici in Egitto, e non sono stati in grado di fargli superare i loro dubbi tradizionali. La percentuale di partecipazione – lontana dalle esagerazioni dell’Alta Commissione Elettorale che è stata l’unica a parlare di una percentuale del 35% – ha raggiunto gli stessi livelli minimi che l’hanno contraddistinta nelle scorse elezioni parlamentari, ovvero il 20% nel migliore dei casi. Con ciò, questa scarsa partecipazione ha privato le elezioni del 2010 di uno dei contenuti essenziali per la loro legittimazione, che è rappresentato dalla reale partecipazione popolare.

    Poi le elezioni – attraverso gli eccessi e le violazioni sistematiche che hanno pregiudicato l’andamento del primo turno e che sono attestate dai resoconti degli osservatori locali e dalle testimonianze di alcuni giudici – sono state spogliate del loro secondo contenuto di legittimità, legato allo svolgimento delle operazioni di voto. Queste avrebbero dovuto svolgersi con una trasparenza (nel caso dell’Egitto, diciamo con un “minimo” di trasparenza) che garantisse pari opportunità (nel caso dell’Egitto, diciamo un “minimo” di pari opportunità) tra i rivali, e assicurasse che i risultati esprimessero (nel caso dell’Egitto, entro “certi limiti”) le preferenze di questo numero (limitato) di cittadini che ha espresso il proprio voto.

    Gli apparati di sicurezza – come al loro solito – si sono impadroniti della gestione delle operazioni elettorali, manipolando i risultati a vantaggio dei candidati del Partito Nazionale Democratico, ostacolando alcuni giudici supervisori nello svolgimento del loro lavoro e proibendo a molti osservatori di entrare nei seggi elettorali o di rimanervi per un tempo sufficiente a valutare in maniera obiettiva l’andamento delle elezioni. E hanno anche impedito agli elettori che sostenevano alcuni candidati dell’opposizione (appartenenti o no ad un partito) di esprimere il proprio voto.
    Il potere giudiziario non è stato in grado di limitare la supremazia degli apparati di sicurezza, a causa della debolezza effettiva dell’Alta Commissione e dell’abolizione della supervisione giudiziaria completa sulle elezioni: la faccenda è passata da “un giudice per ogni urna” a “un giudice ogni 20 seggi elettorali circa” (il numero dei giudici che hanno supervisionato il primo turno è arrivato a 2.286, ripartito nelle commissioni pubbliche su più di 45 mila seggi elettorali).

    Accompagnato dalla limitata trasparenza delle operazioni elettorali – e derivante almeno in parte da essa – il primo turno elettorale si è concluso con un risultato scioccante per l’opinione pubblica egiziana e per chiunque fosse interessato a che la nuova Assemblea Popolare mantenesse un certo grado di equilibrio, in particolare tra la rappresentanza del partito al potere e i partiti e i movimenti d’opposizione.

    I candidati del Partito Nazionale Democratico hanno vinto 209 dei 221 seggi complessivi che sono stati aggiudicati al primo turno. Mentre ha perso la maggior parte dei candidati dei partiti di opposizione registrati e dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, la quale ha deciso, insieme al partito Wafd, di ritirare dal secondo turno i propri rimanenti candidati e di boicottare le elezioni.

    La conseguenza, a prescindere dai risultati del secondo turno, è che i rappresentanti dell’opposizione organizzata ( ovvero inquadrata in partiti e movimenti) nel nuovo parlamento non supereranno, nel migliore dei casi, il 5 %. Il Wafd e i Fratelli Musulmani saranno completamente assenti, mentre verranno rappresentati i partiti più deboli e marginali.

    L’opposizione organizzata non avrà alcuna presenza reale nella nuova Assemblea e non sarà in grado di contribuire in modo effettivo alla sua azione legislativa e di controllo. Un esito come questo – che significa una sintonia quasi completa tra l’istituzione di governo, il potere esecutivo e il potere legislativo, attraverso la maggioranza schiacciante del partito al potere – spoglia le elezioni e il Parlamento del terzo dei contenuti di legittimità, che riguarda la legittimità di una rappresentanza proporzionalmente bilanciata tra il governo e l’opposizione, e la legittimità dell’indipendenza del potere legislativo dal potere esecutivo, e del suo esercizio di vigilanza (nel caso della situazione egiziana, di un “minimo” di vigilanza) su quest’ultimo.

    Oggi ci troviamo davanti ad un’Assemblea del Popolo caratterizzata da una composizione unipolare, che ricorda le epoche dell’Assemblea Nazionale e dell’Unione Socialista (l’autore si riferisce ai tempi del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser (N.d.T.) ). Ci si aspetta necessariamente che tutto ciò che farà passare questa Assemblea in quanto a legislazioni, norme e bilanci, sarà una traduzione diretta e chiara della volontà dell’apparato governativo e del suo partito, che si sono appropriati dell’Assemblea.

    La soppressione dei tre contenuti di legittimità – la legittimità della partecipazione popolare alle elezioni, quella della trasparenza delle operazioni di voto, e quella di una rappresentanza equilibrata del potere legislativo e della sua relativa indipendenza dall’esecutivo – spingono la vita politica egiziana in una profonda crisi dalle ripercussioni pericolose.

    Le elezioni hanno acquisito una cattiva reputazione, e l’opposizione organizzata è tornata al boicottaggio del quadro ufficiale. Ci troviamo di nuovo di fronte a un parlamento di un unico colore e orientamento.
    Tutto questo, mentre l’ istituzione di governo, con la sua intransigenza e il suo agire, non lascia intravedere gli inizi di un riesame critico e di una seria ricerca delle vie d’uscita dalla crisi.
    Tutto questo, mentre meno di un anno ci separa da elezioni presidenziali decisive. E’ un momento triste per l’Egitto e per tutti noi.

    Amr Hamzawy è “senior associate” presso il Carnegie Middle East Center di Beirut
     
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