Cineforum Hollywood

Il piano sequenza

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view post Posted on 6/6/2019, 10:55
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"Il Sabo"

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Cinema che non sbatte mai le palpebre
I film in piano sequenza, ovvero girati in un unica inquadratura, sembrano avere trovato adesso la direzione, a 20 anni dalla nascita della tecnica.
DI GABRIELE NIOLA


Da quando il cinema è stato creato fino al 2000 (più di 100 anni!) fare un film in un’unica immensa ripresa, senza dire mai “Stop” se non alla fine di tutto, era tecnicamente impossibile. Non si può montare così tanta pellicola sulla macchina da presa per filmare 90 minuti o più, ci si deve fermare e sostituirla almeno 4-5 volte. Poi è arrivato il cinema digitale, niente più pellicola ma hard disk. E con il digitale invece si può andare avanti a piacere. Non a caso appena il cinema digitale è diventato una realtà qualcuno l’ha fatto.

Aleksandr Sokurov, Arca Russa (2002), un’impresa titanica, il primo film ripreso in 99 minuti di girato senza stacchi. Un unico lungo colpo. È la storia di un uomo che si muove nel museo Hermitage e di stanza in stanza viaggia nel tempo riflettendo sulla storia della Russia, detto così sembra terribile ma in realtà è pazzesco e l’espediente di non staccare mai lo rendeva incredibile. Tale era la tensione che alla quinta volta in cui veniva ripetuta tutta la lunga scena da 99 minuti camminando per tutto l’Hermitage e finalmente veniva perfetta, senza errori, al chiamare l’ultimo “Stop” che chiude tutto Sokurov, che è un omone russo, si è messo a piangere (qui, minuto 41.11).

Da quel momento in tantissimi ci hanno provato (si ricorda con piacere un agghiacciante film italiano intitolato didascalicamente Pianosequenza, di Louis Nero) anche se gli esempi migliori sono arrivati solo negli ultimissimi anni, quando l’espediente è stato affinato. Se all’inizio infatti il fascino era tutto nella conquista tecnologica e nell’esperienza avvolgente di un film che si svolge nel medesimo lasso di tempo in cui viene filmato, adesso che dopo i lunghi piani sequenza di Cuaron e Wes Anderson ci siamo abituati serve altro. È stato Victoria nel 2016 a segnare una nuova strada, un film che definire mostruoso è poco, un film così clamoroso e complicato che contravvenendo ad ogni norma dei credit del cinema il primo nome che compare a film finito, quando arriva il nero, non è quello del regista ma quello dell’operatore, l’uomo che ha tenuto la videocamera in mano per 138 minuti lungo tutta Berlino.

Quel film fu presentato alla Berlinale e raccontava l’incredibile storia di due ore nella vita di una ragazza straniera nella capitale tedesca. Dall’uscita dalla discoteca alle 4 del mattino, fino alle 6 del mattino fuori da un hotel. In mezzo: di tutto, incluso un senso avvolgente di eccitazione, incontri, pericolo, fragilità della vita e un finale imprevedibile al sole dell’alba. Quel film dimostrava che al di là del gesto tecnico e della difficoltà di recitare due ore a memoria come a teatro (ma con un’intera città da attraversare come set pieno di variabili imprevedibili), fare un film senza staccare mai poteva anche essere altro: una maniera per conoscere una storia come mai prima. In Victoria c’è sia il genere (criminali, rapine, fughe) sia quel senso di imprevedibilità della vita che ti coinvolge, in terra straniera, in un’avventura imprevedibile, sia ancora il lento conoscersi di due persone che si piacciono lungo due ore. Capire che l’altro ci sta, aspettare il momento giusto, voler concludere.


Al cinema è sempre mancato il tempo reale, perché è un’arte contraffatta in cui il montaggio spezza tutto e crea continue ellissi. È il suo bello ma il pianosequenza unico gli restituisce quest’impressione. Ci aveva provato già Hitchcock con un trucco dei suoi. In Nodo alla gola, thriller di parola tutto ambientato in un salotto con un morto che nessuno deve trovare chiuso in una cassa, si ha l’impressione che il film sia un unico pianosequenza, proprio per avere quel tipo di sensazione di tempo reale, ma in realtà ci sono alcuni stacchi che non si vedono perché Hitchcock li faceva passando dietro la schiena dei personaggi. Vediamo nero per un attimo, perché la schiena dell’attore copre tutta l’immagine e lì avviene lo stacco, così quando il personaggio si è spostato è un’altra scena ma non lo avvertiamo.


Ora Utoya: July 22 ne fa un uso ancora diverso. È un film norvegese che racconta la strage avvenuta sull’isola omonima il 22 Luglio. Paul Greengrass ci ha fatto un film distribuito da Netflix in cui si occupava più che altro della figura dell’assassino, l’attentatore e del suo processo. Utoya: July 22 invece è ambientato esattamente in quell’ora e 33 minuti in cui sull’isola non erano ancora arrivate le autorità ma era già partita la strage. Senza staccare mai seguiamo una ragazza, tra i molti sull’isola, dal momento in cui si sentono i primi spari e parte il panico, fino alla fine. Tutti scappano in tutte le direzioni, alcuni sono morti in giro per l’isola, altri nascosti, lei cerca suo fratello da cui era separata al momento dello scoppio del panico. L’attentatore non lo vediamo mai in volto, solo una volta lontanissimo, è solo panico, telefonate disperate, fughe e tentativi di rimanere vivi, per un’ora.


L’idea è clamorosa e rende benissimo il concetto di terrore da attentato. C’è una minaccia invisibile che sta uccidendo, non si capisce molto di quel che accade e il tempo si modifica. I minuti paiono ore quando c’è il timore che l’attentatore possa scoprirli e tutti quei 93 minuti paiono solo 10 tanta è la tensione della sopravvivenza. Farlo convenzionalmente, con il montaggio tradizionale, avrebbe richiesto altri espedienti di suspense, così invece c’è una consistenza nel movimento e nella tenuta della storia che rimangono impressionanti e si cibano del contenuto. È una storia vera e l’impressione è di vederla mentre si svolge, di fuggire con le vittime, di nascondersi e percepire quanto tempo passi prima dell’arrivo dell’autorità.

https://www.esquire.com/it/cultura/film/a2...-sequenza-film/
 
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view post Posted on 7/6/2019, 15:54
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Pippotti incredibili, a me la narrazione iper estesa non piace, preferisco i film che saltano parti banali personalmente.
 
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1 replies since 6/6/2019, 10:54   36 views
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