Romanzo a puntate

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    IL GELO SU ROMA

    Roma, 30 maggio 1984

    Sarà stato il peggior incubo che abbia vissuto in tutta la mia vita, sarà stato l’unico sogno infranto della mia lunga giovinezza: vedere la mia squadra del cuore, la Roma, alzare quella dannata coppa delle grandi orecchie che giaceva su quel piedistallo marmoreo posto sulla pista d’atletica dello Stadio Olimpico, quella pista che l’anno prima aveva visto quella stessa squadra fare il tradizionale giro di campo dopo la conquista dello scudetto 1982-83 sotto la curva sud dove c’erano assiepati migliaia di tifosi di romanisti.
    Quella sera l’Olimpico sulle curve era vestito di tre colori: il giallo, il rosso ed il bianco. Il giallo ed il rosso sono i colori della Roma, il bianco ed il rosso quelli del Liverpool, l’indomabile Liverpool, una delle tante corazzate provenienti dal continente albionico capace di far man bassa di titoli a destra e a manca sia in Inghilterra che in Europa. Grobbelaar, Neal, Kennedy, Lawrenson, Whelan, Hansen, Dalglish, Lee, Rush, Johnston, Souness. Una formazione che faceva tremare solo a nominarla, per non parlare dei tifosi, i famigerati e temuti hooligans che al solo canto gridato di “You’ll never walk alone” erano capaci di intimidire qualsiasi avversario che si trovassero di fronte. Nella loro curva oltre alle bandiere bianche e rosse con sopra stampate il Liver Bird, simbolo della città Liverpool, sventolavano nella loro curva anche alcune le Union Jack, simbolo di identità e di patriottismo, due cose molto care al popolo britannico.
    C’ero anch’io quella sera su quella curva sud in mezzo a quella bolgia giallorossa, seduto in ottava fila al posto centoventicinque. Attorno a me c’erano una moltitudine di ragazzini e di miei coetanei con tanto di sciarpe e bandiere giallorosse che cantavano a squarciagola il motivo di Venditti “Roma Roma”, un classico canto che veniva intonato in tutte le partite che si svolgevano all’Olimpico prima di qualsiasi partita di campionato e di coppa che la Roma si apprestava a giocare. “Stasera quella coppa è giallorossa!” gridò qualcuno poco scaramantico che credeva che quella sera il cielo sopra l’Olimpico si fosse tinto di giallorosso ancora una volta come accaduto l’anno prima con la conquista dello scudetto.
    Era una finale del tutto inedita, la Roma in tutta la sua storia non aveva mai giocato una partita di grande prestigio come una finale di Coppa dei Campioni, mentre il Liverpool era abituato a giocare finali ad alta tensione, infatti negli ultimi dieci ani precedenti a quella finale erano riusciti ad alzare quella coppa dalle grandi orecchie in tre occasioni, di cui due vinte consecutivamente: la prima la conquistarono guarda caso proprio a Roma nel 1977 contro i tedeschi del M’gladbach, l’anno dopo a Londra nel tempio del calcio inglese di Wembley contro il Bruges e nel 1981 a Parigi contro il Real Madrid. La Roma le uniche finali a cui era abituata erano quelle delle coppe nazionali, l’ultima conquistata nel 1981 contro il Torino, in una finale decisa con la vittoria giallorossa ai calci di rigore. L’unica gloria internazionale che la Roma poteva vantare era una misera Coppa delle Fiere conquistata 23 anni prima contro un altro club inglese, il Birmingham City.
    Finito il prepartita, alle ore 20:57, le squadre fanno il loro ingresso in campo. La Roma scese in campo con una casacca bianca mentre gli inglesi scesero con la tradizionale divisa interamente rossa. Un rapido scambio di gagliardetti e di saluti tra i giocatori, la terna arbitrale e gli allenatori, il tempo di controllare celermente il cronometro, di porre il pallone a centrocampo e di dare con il fischio l’inizio alle ostilità in quella finale.
    Passa un quarto d’ora, la Roma cerca di prendere il dominio della partita ma il Liverpool resiste, una resistenza che poco dopo da finalmente il suo frutto. Causa una svista difensiva dei giallorossi, il Liverpool si portò in vantaggio al minuto numero quattordici del primo tempo con una rete di Neal. 1 a 0 Liverpool. La Roma non demorde e non si demoralizza davanti al temporaneo svantaggio cercando più volte il gol del pareggio, ma il Liverpool non ne vuole sapere e dopo aver siglato quel gol del vantaggio vuole chiudere agevolmente quella partita tentando di allungare il vantaggio costruito con la prima marcatura di Neal al quarto d’ora. Il pareggio della Roma arrivò finalmente verso la fine del primo tempo, più precisamente al minuto quarantatré. A siglarlo è Roberto Pruzzo, su assist dalla sinistra di Conti, con un colpo di testa che supera in pallonetto l'estremo difensore del Liverpool Grobbelaar. Con il gol del pareggio di Pruzzo, il primo tempo si chiude poco dopo sul risultato di 1 a 1.
    Il secondo tempo fu una sofferenza continua, specialmente per la Roma, infatti il barone Liedholm fu costretto al cambio facendo entrare al posto di Pruzzo e Cerezo, Strukelj e Chierico, due panchinari che ben poco si erano visti in mezzo al campo. Con quei due ingressi, la Roma cominciò lentamente a crollare e ad indebolirsi subendo continue incursioni da parte dei giocatori del Liverpool, decisamente più freschi ed incisivi in quella finalissima. L’1 a 1 tra le due squadre persistette anche per il secondo tempo e fu così necessario andare ai tempi supplementari. Nulla da fare. Neanche quella successiva mezz’ora supplementare riesce a sbloccare quella finale, l’unica sequenza che avrebbe di fatto scardinato quell’incontro sarebbe stata quella dei calci di rigore, la temuta lotteria di calci di rigore.
    Una lotteria che all’inizio fu benevola per i giallorossi visto che Nicol, giocatore del Liverpool, calciò alto il primo rigore, mentre Di Bartolomei senza problemi e senza patemi d’animo trasformò quel primo rigore. Dopo di loro arrivarono i turni di Neal, Bruno Conti, Souness, Righetti, Rush, Graziani e Kennedy. Gli inglesi andarono a segno quasi tutti, Tancredi che era un ipnotizzatore seriale quella sera si fece beffare amaramente da quei quattro tiri. Tra le file della Roma, invece, quella lotteria fu assai amara: l’unico a segnare fu solo Righetti, mentre Bruno Conti e Ciccio Graziani mandarono all’aria definitivamente i sogni di gloria giallorossi facendosi, tra l’altro, ipnotizzare dalle movenze brocche di Grobbelaar tra i pali. Davanti a quei due errori sotto la curva sud, tutti quanti raggelarono completamente e si lasciarono andare al rammarico e allo sconforto più totale.
    Dopo quel rigore sbagliato di Graziani, nemmeno il tempo di assistere ai festeggiamenti, che rapidamente uscì dallo stadio, corsi subito al parcheggio e ripresi subito la mia auto per tornarmene a casa. Prima di rientrare, feci un salto al Bar La Canasta, un vecchio ritrovo di tifosi giallorossi che avevo cominciato a frequentare da qualche tempo. Quando entrai dentro il bar vidi le facce di tutti i miei amici tutte tristi e prese dal grande rammarico per la sconfitta patita quella sera all’Olimpico dopo quella partita, una sconfitta che pesava moltissimo visto che si trattava di una finale di Coppa dei Campioni. Le uniche facce senza rammarico furono quelle di Aniceti, quel maledetto gufaccio laziale che dietro i suoi baffi celava allegria e goduria per la sconfitta della Roma, l’altra faccia che non mostrava rammarico era quella di una ragazza che stava rientrando dal Circo Massimo dove si stava svolgendo in concomitanza quella sera alla finale tra Roma e Liverpool, un concerto di Antonello Venditti e che si era fermata al bar La Canasta in attesa che un taxi la venisse a prendere.
    Indossava un giaccotto di pelle, un pantalone di cotone nero ed un paio di stivaletti di cuoio ai piedi, era di carnagione chiara e dalla corporatura magra, aveva i capelli lunghi marroni alla Romina Power. Aveva tra le mani un’agendina su cui stava trascrivendo alcuni versi poetici, versi che portarono a definire quella misteriosa ragazza da alcuni amici con il soprannome di “Trilussa”.
    Così, vedendola scrivere in tutta solitudine, pensai bene di avvicinarmi a lei e di scambiarci qualche chiacchiera.
    “Signorina, la vedevo tutta sola seduta a questo tavolo, le dispiace se mi accomodo anche io?” Domandai
    “Prego accomodati pure” fece lei “sono qui da più di un’ora ad attendere un taxi che mi viene a prendere.”
    “Roma è tutta bloccata” risposi “tra la partita all’Olimpico, il concerto di Venditti al Circo Massimo per colpa del traffico un taxi non lo vede prima delle prima delle prossime quattro ore.”
    “Fortuna che ho trovato accoglienza in questo bar, tutti ragazzi simpatici a quanto vedo.” Mi disse lei sorridendomi.
    “Magari fossimo tutti simpatici come dice lei signorina, qui ognuno di noi ha il suo bel caratterino e i suoi problemi.”
    “In che senso?” domandò incuriosita.
    “C’è chi vive una relazione complicata con la famiglia o con la propria donna, chi soffre di ludopatia, chi è tossicodipendente, chi altro è in cerca di lavoro e non lo trova. Qui ognuno di noi c’ha un problema.” Poi alzai lo sguardo ed indicai tutti quanti e dissi “Poi qui stasera siamo tutti rammaricati per la sconfitta della Roma, l’unico che ride sotto quei baffi è quel gufaccio laziale maledetto di Aniceti, che quando perde la Roma è sempre contento.”
    “Proprio lui non dovrebbe proprio ridere visto che la Lazio per tutta la grande fortuna che ha avuto nel salvarsi in questa stagione.” Rispose lei.
    “Tifosa della Roma?” Le domandai.
    “No, tifosissima dell’Inter.” Mi rispose sorridendo.
    “A sto punto perché non ci presentiamo” dissi io presentandomi “Io mi chiamo Franco.”
    “Lieta di conoscerti, Rosa.”
    Dopo esserci conosciuti, io e Rosa cominciammo ad instaurare un rapporto tra noi due. Io e lei avevamo moltissime cose in comune: ci piaceva il calcio, adoravamo la musica dei gruppi new wave americani e inglesi, amavamo entrambi leggere e scrivere testi e poesie. Tante cose che ci furono utili a costruire la nostra relazione quella sera.
    Usciti dal bar, approfittando dell’assenza di taxi in giro nella zona del bar La Canasta, pensai bene di riaccompagnarla a casa sua visto che abitava in un condominio alla borgata Gordiani in largo Francesco Ardissone, luogo che si trovava dall’altra parte di Roma nella periferia sud. Per arrivare fin lì ci impiegai la bellezza di un’ora e venti per il traffico che c’era quella sera.
    Arrivati davanti al portone di casa sua quella sera, prima di salutarci, trovammo il modo di scambiarci le ultime chiacchiere.
    “Eccoci finalmente arrivati a largo Ardissone!” Esclamai. “Un’ora e venti di tragitto.”
    “Menomale che non ho preso taxi o autobus stasera, sennò ci avrei messo di più pure per come sono lenti i mezzi di trasporto di Roma.” Fece lei.
    “Quando ci sono i grandi eventi, Roma è sempre così, a me è capitato tanto di quelle volte fare il tragitto dal Tuscolano, dove abito io, al foro italico dove sta lo Stadio Olimpico, anche più di due ore guarda.”
    “Io stasera dovevo andare al concerto di Venditti al Circo Massimo pensa un po', peccato che è durato solo quarantacinque minuti, poi solo Roma-Liverpool sul maxischermo.” Fece lei.
    “Quante persone c’erano?” Le domandai.
    “Circa duecento mila persone” fece lei, “il Circo Massimo era gremitissimo, fortuna che non mi sono buttata nell’assembramento sennò sarei morta schiacciata a mo’ di sandwich in mezzo alla folla.”
    Nel frattempo, Rosa scese dalla mia auto e mentre lei scendeva le chiesi “Senti, siccome sei stata molto gentile ti va di scambiarci i numeri di telefono per sentirci e vederci di nuovo?”
    “Va bene!” esclamò sorridente lei mentre cavava una mano dentro la sua borsetta a caccia di un biglietto da visita con sopra scritto il suo numero di telefono ed il suo indirizzo di casa. Io che ero in macchina, presi un pezzo di carta ed una penna dal portaoggetti e rapidamente ci segnai sopra i numeri di telefono e l’indirizzo di casa mia. Dopo esserci entrambi scambiati gli indirizzi ed i numeri di telefono ci salutammo e ci demmo la buona notte. Me ne andai subito dopo che lei chiuse il portone e salì in ascensore verso l’appartamento dove abitava.
    Mentre rientravo di casa capì subito che il dolore attutito da quella tremenda sconfitta avuta dalla Roma in finale di Coppa dei Campioni quella sera, era stata subito sortita da quell’incontro che feci con quella ragazza che conobbi al bar La Canasta. Capì subito che mi ero innamorato di lei.

    Edited by Emilio Torre - 8/12/2023, 16:40
     
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